“Più
in fondo non c'è nessuno - c'è
appena
l'innominato”
(P.
Valéry, Quaderni, vol. I)
Già,
ma quel
nessuno
sembra
proprio l’Odisseo
che si beffa del ciclope cieco e sciocco! Ovvero: la forma
sarà pur tutto, ma far versi non è mai come dire “sotto
il vestito, niente”:
non avrà mai per Valéry la consolazione intellettualistica del
neoclassico snob; né basterà, per compiacere l'artigiano di sé
stesso, l’adeguamento a regole
prosodiche preziose per orecchie di accuratamente stereotipata
finezza!
Il
clap
clap è
sempre un applauso della folla a se stessa: chiunque lo riceva, in
fondo, è lì per caso, come un parafulmine sotto la tempesta.
Le
retoriche saranno infatti pure definibili a priori, ma sempre aperte a
un numero infinito di varianti e di complicazioni. - Ahimè, in
niente di umano esiste un corpus conchiuso e consolante di regolette
sufficienti: stiamo sempre al centro della mobile e ardua capacità di
arrovellarci sulle mille forme possibili. - Così, a farsi ammaliare
dal mare del possibile, è come se passassimo il tempo migliore a
congegnare trappole da e per noi stessi...
Degas
è uno degli eroi di questa concezione: “Nell’arte egli non vedeva che
problemi d’una certa matematica
più raffinata dell’altra, che nessuno ha
saputo rendere esplicita e di cui ben pochi possono sospettare l’esistenza”
(Degas
Danza Disegno).
La
conoscenza dell’ars da sola segna
appena una delle condizioni grazie alle quali chi scrive può davvero
scrivere qualcosa.
Tutto
il resto - e
cioè l’essenziale - è un
viaggio dantesco oltre la Gibilterra di ogni possibile sapienza e
conoscenza. - Quell’ignoranza, del resto, è
la poesia, perché “il giorno che
si avrà una conoscenza anche mediocre del meccanismo letterario -
questo sarà spacciato” (Quaderni,
vol. I).
Parafrasando, il giorno in cui esistesse la tecnica
- regole chiare, riproducibili come procedure in un laboratorio - per
scrivere poesie perfette, nessuna poesia più lo sarà.
Tutti
Petrarca, nessun Petrarca?