In
ogni conflitto, le manovre regolari portano allo scontro,
e
quelle imprevedibili alla vittoria.
(Sun
Tzu, L'arte della guerra)
Stando in mezzo alle parole - le bugiarde -, non c'è scelta: toccherà
combattere il banale con le sue stesse armi. - Direbbero gli
strateghi: non però in vane battaglie campali, ma con pazienze e
ostinazioni da guerriglia Piuttosto che il Clausevitz, allora, si troveranno buoni consigli in Sun
Tzu, nel gioco del Go e, quindi, nelle genialità mimetiche e micidiali del generale Giap...
Così come sono, nel
loro prête-à-porter, le parole mentono come respirano: appannano ciò
che dicono, sostituendo le cose nominate con il loro blablà
stereotipato e convulso... - Non facessero così, del resto, non
ci darebbero pace, mentre tutti per vivere abbiamo bisogno vitale di
velocità inconsulte, di azioni spensierate: come la scienza per Musil
o Heidegger, si vive infatti
grazie al prodigioso potere di non pensare...
Mentre la lenta
poesia pensa, rodendosi dentro, dietro la maschera levigata d’un alessandrino
perfetto, sul problema irrisolvibile del dire bene. – Dire le
cose poeticamente “non consiste nel fatto che qualcosa di già noto
e munito di un nome” trovi il
cantuccio a lui fatto nella poesia; perché, facendo di bifolche
parole un madrigale, si fa appena nascere lì – finalmente al suo
meglio - “il linguaggio stesso” (G.
VATTIMO, “Hölderlin e l'essenza della poesia”, in L'estetica
moderna): così, ogni volta, dal
niente, da capo...
Il Sempre di Leopardi e il “sempre” di sempre, sono
da sempre diversi: la parola poetica, rispetto alla sua gemella
prosastica, è snob e schizzignosa: marca differenze impercettibili e
crudeli. - Leggendo l’Infinito,
occorrerà allora ogni volta risalire dal nostro a quel Sempre...
La parola poetica, dice
Valéry, è un’“arma” (Eupalino) -
la sua intenzione è uccidere (G.
MANGANELLI, La penombra mentale) la sua greve
sorella, sterminare la fallace omonimìa.