A
Ruskin la domanda affiorò
forse quando, giovanissimo, lasciò
che lo sguardo gli si sperdesse dal canale della Giudecca alla
città d’acqua : ‘Chissà se la vera Venezia e’ quella che
dal mare si alza verso il cielo o piuttosto quella che, riflessa
nel moto lento della laguna, affonda in mare in una luce di
perla?’ Questa
visione che solo un pittore o un musicista, rigorosi
‘jongleurs’ di colore o di nota, saprebbero salvare
s’impresse nell’emotività fragile del critico e quando la
rivide nei quadri di Turner,
pittore-viaggiatore che amò più di ogni altro, subito
riconobbe e non
seppe resistere all’ingenua sicumera (in parte imputabile ad atteggiamento matercalvinistadocet)
di difenderlo strenuamente.
Il
paradosso fu che il giovanissimo sconosciuto Ruskin
scrisse un saggio in difesa di Turner,
pittore di nota fama e di non declinante fortuna, per quanto in
momentanea disgrazia con parte della critica, ultrasessantenne,
accademico e docente da oltre trent’anni.
Lo stesso Turner
accolse l’arringa in suo favore con indifferenza e cautela.
Mi
concentro sul saggista inglese, sfoglio alcune pagine dei
Modern Painters
e scopro che la sua non fu un’infatuazione adolescenziale
per Turner ma un vero e
proprio atto di dedizione verso l’artista che sarà il fulcro di
tutta la sua teoria estetica. E
l’occhio mio, grazie al
suo, si svende sugli svapori delicati dell’ultimo Turner
che con color di passione or pallida, ora accesa, annaspa e sborda
sul precipizio dell’astrattismo per poi dileguarsi ai limiti
dell’informale. Le molecole gialle, azzurre, rosse si fissano in
reazioni luminose attorno ad opalescenti verità inquiete, senza
nemmeno più un titolo simbolico come
erano stati Deluge
o Angel of the Apocalypse.
Le
tele dell’ultim’ora vivono d’evocazione infinita; gli unici
titoli sono onde,
vapori, albe per un
metereologo dell’arte tra spirali di nebbie immateriali e
confuse in acque e cieli sfumati
senza abbandonare “il tranquillo e radicale amore per il mondo,
nel paziente e penetrante accostamento al reale”.
Ruskin
capì, pur nella contraddizione d’amore sia per la minuziosità
lineare dei pre-raffaelliti, sia per i vapori ambientali di Turner,
che per il pittore
prediletto i colori erano azioni e passioni e sostenne che “il
sublime più alto non può esistere senza l’enigmatico, cercando
di proteggere l’artista dalle critiche più aspre, presentendo
la grande lezione turneriana ai futuri movimenti che,
inconsapevoli, non stavano neppur ancora balbettando.
Quest’assolo intuitivo fa sì che perdoniamo a Ruskin
certi tratti moralistici ch’egli addensava nella pagina forse
per lenire l’urgenza di una coscienza puritanissima.