"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 10, maggio 2005                                         


Ogni scrittore, come ogni persona, ha le sue stelle d’orientamento, e a sua volta è stella (danzante?) per altri. 

Proviamo a segnalarne qualcuna

 

Degas Danza Disegno di Paul Valéry

 


 

 

8. Mallarmé

 

 

 


 

“L’opera di Mallarmé era per noi il fiore di tutto ciò che di prezioso stava morendo. In essa respiravano l’essenza delle più alte bellezze della poesia francese, meditate, concentrate e composte in quei testi brevi e intensi. Vi si mescolava, venuto dalle regioni di Amleto o dal più lontano nell’Ovest, un soffio d’ombra.

(P. Valéry, Mallarmé e io)

 

“Mi rammento dei primi contatti che ebbi con la sua opera. Per quale ragione, a differenza di tanti altri, non fui respinto dall’oscura bizzarria che essa rivelava di primo acchito. Fui dapprima colpito dal fatto che la mia memoria – da sempre naturalmente e ostinatamente ribelle all’acquisizione dei testi di cui avrei voluto rifornirla – ricordasse senza il minimo sforzo, e quasi a prima lettura, quei suoi versi che sarebbero dovuti riuscire ingrati per la loro difficoltà bizzarramente costruita. Ma, essendomi io stesso cimentato nella poesia, la mia attenzione si era da subito soffermata sui caratteri formali che le appartenevano. Ritmo(i), timbro(i), sintassi mi apparivano fattori essenziali ai quali il poeta non doveva mai sembrare poco attento e dai quali, a rischio della propria inesistenza poetica, ogni elemento di un’opera doveva trarre il suo precipuo valore. Ciò significa che avevo già rifiutato più d’un poeta di prim’ordine per la sua negligenza e ingenuità espressiva. I versi di Mallarmé, che li capissi o no, soddisfacevano appieno il mio rigoroso bisogno di consistenza poetica. D’altronde, in materia d’arte, apprezzo realmente solo ciò che mi dà la sensazione della perfezione, e ammetto solo ciò che mi dispera” (P. Valéry, Mallarmé e io).

“Avevo l’impressione che qui il pensiero, invece di stimolare la propria impressione e di trovare una forma più o meno felicemente determinata da questo bisogno pressante, fosse come esplorato nelle possibilità formali. Questa era una novità assoluta” (Ib).

“L’efficacia degli «incanti» non risiedeva nel significato di cui i vocaboli erano depositari, quanto invece nelle sonorità e nella singolarità della forma. Anzi, l’oscurità era quasi una loro proprietà essenziale.

Ciò che viene cantato o articolato nei momenti più solenni o più critici della vita; ciò che risuona nelle liturgie; ciò che mormora o geme negli estremi della passione; ciò che calma un bimbo o un malato; ciò che attesta della verità in un giuramento, sono sempre parole che non si possono né risolvere in idee chiare, e nemmeno separare – senza renderle assurde o vane – da un determinato tono e da un determinato modo. In tutti questi casi, l’accento e l’andamento della voce hanno il sopravvento su ciò che questa suscita d’intelligibile; più che alla mente, si rivolgono alla vita. Voglio dire che quelle parole, più che stimolarci a comprendere, ci impongono di divenire(P. Valéry, Varietà).


 

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