“Tale pittore, il più personale, il più acuto fra
tutti quelli che possiede, senza neanche sospettarlo, questo
infelice paese…
Degas
che, in stupendi quadri di danzatrici, aveva già così
implacabilmente reso la decadenza della mercenaria istupidita da
meccanici sollazzi e da monotoni salti, alimentava… coi suoi
studi di nudo, un’attenta crudeltà, un odio paziente.
Pareva
che… egli avessi voluto usar rappresaglie e buttare in faccia al
suo secolo l’oltraggio più eccessivo, con l’abbattere
l’idolo costantemente risparmiato, la donna, che lui avvilisce.
E allo scopo di ricapitolar meglio le sue ripugnanze, la
sceglie grassa, panciuta e corta. Qui è una di pelo rosso, grossa
e grassa, infarcita, che curva la schiena, facendo spuntare
l’osso sacro sulle tese rotondità delle natiche; si piega in
due, volendo portare il braccio dietro la spalla per spremere la
spugna che sgocciola sulla spina dorsale e ondeggia lungo le reni;
là è una bionda, rattrappita, tozza e ritta, che ci volta
ugualmente le spalle; quella ha finito i suoi lavori di pulizia e,
appoggiandosi le mani sulla groppa, si stiracchia in un movimento
piuttosto virile d’uomo che si scaldi dinanzi a un caminetto,
sollevando le falde della giacca; là poi è un donnone
accoccolato che pende tutto da un lato, si solleva su una gamba e
ci passa sotto il braccio, si tocca nella tinozza di zinco;
un’ultima finalmente, vista, stravolta, di faccia, s’asciuga
la sommità del ventre.
Tali sono, brevemente citate, le pose impietose che questo
iconoclasta assegna all’essere adulato da inutili galanterie.
C’è, in questi pastelli, qualcosa del moncherino di storpio,
del seno sciupato, del ciondolìo di un uomo senza gambe e senza
cosce, tutta una serie d’atteggiamenti inerenti alla donna anche
giovane e graziosa, adorabile sdraiata o in piedi, ranocchiesca e
scimmiesca quand’essa deve come quella chinarsi per mascherare
le sue miserie con queste cure.
Ma al di là di quest’accento particolare di disprezzo e
di odio, bisogna vedere
in quelle opere l’indimenticabile veracità dei tipi eseguiti
con un disegno ampio e profondo, con una foga lucida e
controllata, come con una febbre a freddo; bisogna vedere il
colore ardente e sordo, il tono misterioso e opulento di quelle
scene; è la suprema bellezza delle carni inazzurrate o rosate
dall’acqua, rischiarate da finestre chiuse con tende di mussola,
in stanze oscure, ove appaiono in una luce velata di cortile, muri
tappezzati di cotonina Jouy, lavabi e catini, flaconi e pettini,
spazzole e vernice di bosso, scaldapiedi di rame rosa!
Non è più la carne piatta e liscia, sempre nuda delle
dee, … ma è proprio carne svestita, reale, viva, carne tocca
dalle abluzioni e la sua fredda grana sta per sciogliersi.
Fra le persone che visitano quest’esposizione, alcuni in
presenza di colei fra le donne che è vista di faccia,
accoccolata, e il suo ventre si dispensa dalle solite frodi,
gridavano indignati da una tale franchezza, presi a pugni
senz’altro, dal senso di vita che emanavano quei pastelli. In
fin dei conti, essi si scambiavano qualche riflessione timida e
disgustata, lasciavano andare, in partenza, la grande parola:
oscena!
(J.
K. HUYSMANS, Certains,
1889)