“...c’est
le seul écrivain dont je sopporte les passages d’amour...”
(P.
Valéry, Lettera a A. Gide, 19 aprile 1897)
“Ma
Stendhal, quale egli è, o
qualunque egli sia, malgrado le Muse e malgrado il suo stile, e
quasi malgrado se stesso, è diventato uno dei semi-dei delle
nostre Lettere, un maestro di quella letteratura astratta e
fervida, più asciutta e lieve di qualsiasi altra, che è
caratteristica della Francia. Si tratta d’un genere che ha a che
fare soltanto con azioni e idee, che sdegna l’ornamento, che se
ne infischia dell’armonia e dell’equilibrio della forma. Un
genere che sta tutto nel tono, nel gesto, nella battuta, nelle
frecciate, ricco delle ellissi e delle reazioni vivaci
dell’intelletto. Un genere costantemente rapido, e spesso
insolente; che sembra senza età e, in qualche modo, senza
materia: personale all’estremo, centrato direttamente
sull’autore, esso sconcerta alla pari d’un gioco fitto di
battute e rimandi: tiene sempre lontano sia il dogmatico sia il
poetico, che detesta allo stesso modo.
Non
si finirebbe più con Stendhal. E questo è per me l’elogio più
grande.”
(P. Valéry, Varietà)