Da
Rembrandt, infinito filosofo col
pennello, si imparano cose irrinunciabili su cosa dica proprio e
solo una luce. - Valéry
si porta dentro sempre come angelo necessario soprattutto la luce dei petits philosophes che
puoi vedere al Louvre. Lì, in “un cono di chiarezza nella grandezza oscura della stanza”, in questa condizione sospesa tra il buio e la luce,
“l’occhio percepisce quello che lo spirito non sa definire; e l’artista,
che è nel segreto di questa percezione incompleta, può speculare
su di essa...” (Le retout de Holland, Gallimard).
Ma
il meglio di Valéry su Rembrandt
forse proprio in Degas Danza Disegno:
“Rembrandt
sa che la carne è fango la cui luce dà oro. Sopporta e accetta
quanto vede: le donne sono quello che sono. Non ne trova che di
pingui o di scarnite. Anhe le poche belle che ha dipinto, lo sono più
per un’emanazione di vita che per la forma. Egli non teme i ventri
pesanti, piegati in rigonfi di pelle spessa e grassa, le membra
grosse, le mani rosse e grevi, i volgarissimi volti. Ma quei dorsi,
quelle pance e mammelle, quelle masse carnose, quelle bruttone e
serve che lui trasporta dalla cucina al giaciglio degli Dei e dei re
le impregna o le sfiora con un sole che è soltanto suo, mischia
come nessun altro il reale, il mistero, il bestiale e il divino, il
mestiere più sottile e vigoroso e il sentimento più profondo e
solitario che la pittura abbia mai espresso.”
(Degas Danza Disegno).