“Con
la sua sensibilità e tenerezza e debolezza, che gli fanno
sempre desiderare di partecipare alle cose vedute da tutti, è
continuamente tentato, come solo un santo può essere tentato,
di vedere le cose come non le vede. E’ accaduto molte volte
in vita sua...” (G. Stein
Picasso).
Libretto
di novanta pagine di Gertrude Stein
su Picasso, pubblicato
la prima volta nel 1938. Scrittura sobria e testarda, quasi
automatica, errabonda com’americana a Parigi tentata dalla
scioltezza del parlato. I pensieri fieri
narrano il grande genio spagnolo celando l’autrice dietro
colori, corpi e cubi. Sentito
profumo d’affetto profondo e prodigo per il grande artista
geniale.
SPAGNA.
“...Al di sopra di tutto era sempre e solo la
Spagna”
G.
Stein guida alla scoperta della magistrale varietà artistica di
Picasso e alla ricerca, come pirati, dei tesori saraceni custoditi
nella sua culla spagnola: “...Dentro aveva sempre la Spagna; di
questa non può liberarsi perché la Spagna è lui, è lui
stesso”.
Il
suo côté spagnolo non è banalmente esotico, Picasso odora
l’Oriente senz’ imitarlo e da questa naturalezza orientale
viene l’intimità con la calligrafia, la scultura russa, l’arte africana, IL CUBISMO.
IL
CORPO.
“...Spagnolo com’è, ha sempre saputo che lo
interessano solo le persone”
La
testa, la faccia, il corpo umano sono le cose che vede Picasso.
Tale è la lotta
per scolpire l’uomo ch’è dimentico di ciò che non vede
(“...Picasso conosce le facce come un bambino...”).
La
sua arte rappresenta cose che sono quando uno le vede senza
ricordare d’averle guardate (“...Quando vedeva un occhio,
l’altro non esisteva...”).
E’
un pittore ignaro, un pittore ignaro spagnolo, un pittore ignaro
spagnolo sedotto dalla Francia, un pittore ignaro spagnolo sedotto
dalla Francia, solo, nella
sua lotta di essere vero artista a se stesso senza farsi
strattonare da vedutisti o tecnicisti déjà vus, non cubisti.
NOVECENTO.
“...Picasso una volta disse che chi crea una cosa è costretto a
farla brutta... Amava dire, a quel tempo, e anche in seguito lo
ripeteva spesso, che c’è così poca gente che capisce, e dopo,
quando tutti ti ammirano, continuano a essere pochi a capire,
pochi come prima...”.
Picasso
sente che le cose vedute sono cambiate.
Sono le cose vedute a fare una generazione. Sente che deve
svuotarsi delle cose nuove vedute. In questo il passato non può
aiutarlo, il presente s’assenta o lo strattona altrove. In
Picasso il Novecento preme
mentre Les Demoiselles
d’Avignon fanno quasi piangere chi ha creduto in
lui. E il
Novecento è un secolo dove tutto si rompe, è un secolo che non
conserva, secolo imprudente.