“...c’è
sempre stato un mistico in me”
(Quaderni,
vol. V)
“...pittura
virile e spersonalizzata...”
(V.
Van Gogh, lett. b-14 a E. Bernard, agosto 1888)
Uno
dei paradossi essenziali di Valéry,
è che si tratta di uno scrittore che scrive continuamente di sé,
anche più di Rousseau e Stendhal,
ma senza mai confessioni.
– La quintessenza non coincide mai con la biografia: da lei, al più,
occasioni di approfondimenti e sprofondamenti, ma non più della mela
che centra la testa di Newton.
Qualunque
cosa di interessante possa accadere, il punto è che quanto si è fatto reale
nella vita, sarà sempre stato appena “tirato a sorte dalle
circostanze” (Quaderni, vol. V):
da lì in poi, nello
spazio solitario dell’elaborazione, nel dramma muto del sublimarsi,
dove i fatti provano a uscire da arbitrario e insensatezza,
qualcosa forse accade...
Così,
anche nel disastro, non c’è
psicologia da riferire (“Ci
sono due grandi specie di psicologia. Io non appartengo a nessuna di
esse.” Quaderni, vol. III), non c’è epos che non sia –
come per Stendhal nel meglio del De
l’Amour! – quelle di forze essenziali, e dunque
impersonali, astatte dalla carne che ne ha pur subito
gli effetti…
Paradossale
sarà allora che uno scrittore capace di tanto, venga giudicato avaro
e freddo!… - Il problema potrebbe nascere dalle sue
pose da Accademico di Francia, ma anche del nostro vizio romantico a
pretendere sincerità e biografia, e insomma scandalo, mentre qui non
ci sono né lettere a Milena, né
diari quotidiani alla Plath…
L’amputazione
del bios dalla scrittura, la negazione strenuamente coltivata
del personale, non fa somigliare Valéry
piuttosto alla Weil, autrice
dell’altro grande Diario francese del Novecento? - Al pudore
(“l’ira all’inizio verso ciò che non deve essere”, Hegel)
corrisponderà per entrambi uno spirito essenzialmente religioso? -
Come si sa bene, la cosa non implica Dio, come Dio ormai non implica
il religioso.
Tornado al punto più generale, lasciamo una
domanda: per valutare se uno scrittore è grande, non andranno anche
valutate le sue grandi latenze? Questi sacrifici di intere lande del
suo possibile essere?…
Tolstoj
diceva: “il
difficile è non scriverlo”...
“D’altronde,
d’un uomo non m’importano gli accidenti: né la nascita né
gli amori né le miserie né quasi nulla di quanto è osservabile
può servirmi. Non vi trovo la minima luce effettiva su quanto gli
dà pregio e lo distingue profondamente da ogni altro, e da me.
Non dico di non essere anche sovente curioso di tali particolari,
che non c’insegnano nulla di solido, quello che m’interessa
non è sempre quello che m’importa, e la gente non va oltre. Ma
bisogna guardarsi dall’aneddotica amena” (Degas Danza
Disegno).