Il
filosofo pensa, ipotizza, sillogizza, congettura, e, come il
pensiero sbalordito di Montale,
accorda e disunisce; il poeta (lo dice già il senso antico
del nome poiesis)
invece fa.
All’esattezza
del suo fare non deve necessariamente corrispondere (posto poi che
sia possibile davvero) un sapere astrattamente compiuto: gli a-priori
soddisfano forse cuori sterili.
“Sostituire
il potere al sapere vuol dire rompere con la metafisica” (Quaderni,
vol. II)
. - Tra metafisica e arte non si definisce qui semplicemente un
confine che separi con cura due ambiti diversi ma disposti al buon
vicinato. Valéry non ha dubbi che una buona phronesis
valga
infinitamente di più di qualunque scintillante theoria:
non ha dubbi cioè che una sapienza che non insegni “a
fare qualcosa” in realtà non insegna “niente”
(Ib.).
Cosa
servirà concepire un’estetica
senza che per questo si affini il proprio gusto del bello? E lo
stesso, va da sé, potrebbe dirsi per qualunque ambito su cui sia
possibile pensare: tutti del resto abbiamo conosciuto
concioni di etica senza un
concreto senso morale, critiche letteraria in pessimo stile, o un’ars
amandi senza libidine e amore...
Kant
sarà anche stato il geniale autore della Critica
del Giudizio, ma,
dal momento che questo non lo ha emancipato dal suo “gusto
da cani” (Ib.),
cosa dovremo pensare del senso di tutta quella fatica?
La
“vera
filosofia”
non sarà quella che si proclama ma quella che si sa praticare. Se
è così, essa sarà allo stesso tempo rigorosa e invisibile: “evapora
non appena l’autore
vuole filosofare. Essa appare nell’unione dell’uomo e di ogni
soggetto o scopo particolare. Sparisce non appena l’uomo vuole
perseguirla”
(Ib.).
- “Il
filosofo specialista della sua filosofia non se ne fa niente: egli
è l'uomo che al mondo la usa di meno”
(Ib.).