“La
verità è informe.”
(Scritti
sull’Arte)
“Bisogna
entrare in se stessi armati fino ai denti.”
(Monsieur
Teste)
“Per
ogni sistema formale di regole ed assiomi è possibile arrivare a
proposizioni indecidibili, usando gli assiomi dello stesso sistema
formale,”
(Teorema
di incompletezza di Gödel).
“Vita Cartesii est simplicissima…”,
dice l’’esergo, chissà quanto innocente e quanto sarcastico,
della Serata con Signor Teste.
E ognuno a sua spese avrà pur imparato che il massimo del pericolo, a
fare il pensatore di Rodin dalla
mattina alla sera, è perdersi nel bicchier d’acqua dei propri
neppure amletici dilemmi. Senza comunque né morti né feriti.
Valéry
dedicò forze essenziali della sua vita al “rifacimento” perenne
del suo pensiero (Quaderni, vol. III).
E proprio gli impagabili Quaderni
sono a loro modo il diario d’un percorso tra vizi e virtù del
pensar ozioso, sempre all’erta per schivarne malìe e chimere.
Ora
il punto, come nel Wittgenstein
del Tractatus, o come per
lo stesso teorema di Gödel, è
che anche qui l’àncora di salvezza è sempre fuori del
pensiero:
“Il
pensiero è serio soltanto grazie al corpo. E’ l’apparizione
del corpo a conferirgli il suo peso, la sua forza, le sue
conseguenze e i suoi effetti definitivi.
«L’anima»
senza corpo saprebbe fare soltanto giochi di parole e «teorie» (Ib.).
Tanto
più che di quei giochi e di quelle teorie, il pensiero stesso, per
quanto meta-attrezzato di logica e psicologia, mai saprà
l’essenza: da dove vengono, infatti, i pensieri? - Poiché
“anche quando chiede, la mente è risposta” (Ib.),
quale sarà la domanda? - “Non c’è niente che non sia provocato
– L’essere vivente non è che risposte” (Ib.)
- Risalire alle domande sarà allora,
oltre che una fatica di Sisifo, “innaturale”!?
Intanto,
e sembra di leggere sia il Pareto
teorico dei residui che, anche se non amato da Valéry,
Freud, è certo che “i bisogni
latenti sono ancor più profondi dei pensieri riposti. I bisogni
costanti più potenti di tutti i propositi” (Ib.).
Ego
Più
vado avanti, più considero religiosamente tutto ciò che
è fisiologico, e soprattutto ciò che impegna la sensibilità.
Noi
facciamo un uso stolto di potenze sacre.
Di
sporco non ci sono che gli spiriti, caro il mio spiritualista!…
(Quaderni,
vol. III).
Poiché
del resto “La nostra mente è costituita da un disordine, più un
bisogno di ordine” (Ib.)
e poiché “la confusione è il percorso più corto” che la mente
sceglie sempre se abbandonata alla sua entropia, per uscire dalle
ambasce stagnanti degli asini di Buridano,
sarà meglio fare qualcosa…!
E
dunque: “Io…creo. Traggo d me ciò che non sapevo di contenere” (L’idea
fissa): ciò che non avrei mai saputo se non
l’avessi non pensato ma fatto!
Mica
però ce la caviamo con un panegirico dell’azione pura…
siamo mica a fare qui i romanticoni come se ci bastasse pascolare tra
l’erba
di Fichte e quella di Gentile!
- La dinamica infatti è circolare, perché se il fare – non
lo sperava Macbeth? – taglia la
testa a un bel fascio di angosciosi se
e ma, ne fa nascere a sua
volta di ben più gravi! – Nessun attimo sarà così bello
da fermare i pensieri: sempre dai fatti si sborda; sempre “l’uomo
è più generale della sua vita e dei suoi atti. E’ come se fosse previsto
per più eventualità di quante non ne possa conoscere (Quaderni,
vol. IV).
Per
definire il possibile, che ogni situazione data fa scaturire da
un Io vivente come un ventaglio di luci da un punto solo, Valéry
inventa il concetto di Implesso:
“Io chiamo Implesso l’insieme di tutto ciò che una
qualsiasi circostanza può trarre da noi (Ib.).
– Una scelta, una de-cisione,
precipiterà nel reale sempre solo una parte del possibile:
questa non solo sarà forse minima, ma niente potrà mai garantire che
sia poi davvero quella essenziale.
Ogni
decisione è, alla lettera s-pensierata,
perché “Volere equivale a non tener conto di tutte le cose”
(Ib.).
La
coscienza, che sul mare dell’essere deve pur aiutarci a galleggiare,
non sarà allora una tetragona sostanza, padrona semplice
dell’uomo, come proprio per il “semplicissimo” Cartesio,
ma un “grado”: “il grado di nitidezza e di separazione fra un
ascoltatore e un parlante” (Ib.):
il fatto capitale, “il più enorme di tutti”, è che “noi
giudichiamo i nostri giudizi. Ma ora di più, ora di meno – ci sono
dunque dei gradi. E ora in rapporto a una data idea, ora in
rapporto a un’altra. Questa critica continua, di intensità
variabile, variabile nei principi – Talvolta esplicita, talvolta
implicita. - La differenza fra Me e la mia Idea è una percezione
variabile, - e capitale” (Ib.).
Il
tutto mentre il mondo corre la sua corsa, più e meno veloce
del pensiero. – L’uomo, grazie all’intelligenza, è diventato
sempre più potente; “l’intelligenza ha trasformato il mondo e il
mondo la ricambia largamente. Essa ha condotto l’uomo là dove non
sapeva andare” (Sguardi sul mondo
attuale)…
Ogni
volta, si dovrà tornare ad “affidarsi
all’informe per
ritrovare la forma” (Quaderni,
vol. III).