“Imagine
all the people sharing all the world”,
cantava John Lennon inerpicandosi in un falsetto finale. E dunque
“to share” è – intanto - “condividere”.
“Sharer”
sarà allora uno che condivide, tipo di persona per il quale il pur
facondo italiano non ha un nome ricco semplice e vivo altrettanto: forse
perché nell’arbasiniano “Paese senza” condividiamo, in realtà,
molto poco?
Ma
non trasecoliamo.
Restiamo
fedeli – e “sharing” – al nostro imbarazzo: come tradurre,
allora, “The secret sharer”? – Compagno? ...così anche in
Francia, ed. Gallimard: “Le compagnon secret”... o Inquilino ?
o Ospite?... Nomi che non sono sinonimi neppure di striscio...
l’ospite ha gratis l’ospitalità che l’inquilino invece paga,
tant’è che, a differenza di questi, dopo tre giorni puzza... il
compagno ha poi condivisioni cameratesche e persino fraterne che
all’ospite, senza per ciò infamarlo, non sono sempre dovute... né,
per converso, si è tenuti a ospitare tutti i propri compagni!...
Ospite,
Compagno e Inquilino sono i nomi scelti dai traduttori: ed è un fatto
che “sharer”, passato attraverso il prisma dell’Italiano,
irradia una babele incomponibile di parole non sinonime!...
Incapaci
di procedere, facciamo un passo indietro.
Shakespeare
– gli accademici lo annusano dappertutto in Conrad – fa dire, in “Macbeth”
a Ecate, contenta delle sue stregazze atroci e ironiche, che “every
one shall share i’ the gain”; Desdemona in “Othello”,
come sempre dissennata e inopportuna, ricorda al Moro già paranoide di
suo, che proprio Cassio “shared dangerous with you”... due
esempi su mille.
Cambiamo
genere.
Se
il capitalista ontologicamente furbastro ama spartirsi (to share) solo
la parte (share) buona della torta, tanto da far dire già ad Adam Smith
che “in
this share consists his profit”, nei romanzi prevale per lo
più una condivisione sentimentale, essendo “la roba”, come si sa, a
parte in Balzac e in Maupassant (e anche lì...), verghianamente
noiosa... così ci si paciocca insieme (sharing) preferibilmente
a proposito di “affection” (J. Austen, “Sense and
Sensibility), “thoughts” (G. Eliot, “Middlemach),
“cares and troubles” (C. Dickens, Pickwick papers)...
In
“The secret sharer”, Conrad usa il nome intraducibile quattro
volte.
Giustificherebbero
la scelta di “inquilino” i due punti in cui il capitano parla di
Legatt come del “sharer of my cabin”.
Negli
altri due casi la faccenda però si complica, dato che si parla del “secret
sharer of my life”!... O,
come nell’ultima occorrenza, del “secret sharer of my cabin and
of my thoughts”!...
E’
evidente che un traduttore, avesse anche il dolce labbro di Calliope,
deve supplire con una costellazione di nomi alla mancanza di un termine
equivalente.
Ogni
nome della Lingua del Sì traduce insomma appena una share di Sharer...
per cui, a proposito del titolo, per decidersi occorrerebbe una “golden
share” che però non c’è... intanto, per il conradiano
incorreggibile, oro (gold) e partecipazione (share) si
scindono in frecce (“The arrow of gold” ) e compagni
(secret sharer).