Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 1, 3 dicembre 2002

 

 

 

 

 

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Tradurre “The  secret sharer” 

“Imagine all the people sharing all the world”, cantava John Lennon inerpicandosi in un falsetto finale. E dunque “to share” è – intanto - “condividere”.

“Sharer” sarà allora uno che condivide, tipo di persona per il quale il pur facondo italiano non ha un nome ricco semplice e vivo altrettanto: forse perché nell’arbasiniano “Paese senza” condividiamo, in realtà, molto poco?

Ma non trasecoliamo.

Restiamo fedeli – e “sharing” – al nostro imbarazzo: come tradurre, allora, “The secret sharer”? – Compagno? ...così anche in Francia, ed. Gallimard: “Le compagnon secret”... o Inquilino ? o Ospite?... Nomi che non sono sinonimi neppure di striscio... l’ospite ha gratis l’ospitalità che l’inquilino invece paga, tant’è che, a differenza di questi, dopo tre giorni puzza... il compagno ha poi condivisioni cameratesche e persino fraterne che all’ospite, senza per ciò infamarlo, non sono sempre dovute... né, per converso, si è tenuti a ospitare tutti i propri compagni!...

Ospite, Compagno e Inquilino sono i nomi scelti dai traduttori: ed è un fatto che “sharer”, passato attraverso il prisma dell’Italiano, irradia una babele incomponibile di parole non sinonime!...

  

Incapaci di procedere, facciamo un passo indietro.

Shakespeare – gli accademici lo annusano dappertutto in Conrad – fa dire, in “Macbeth”  a Ecate, contenta delle sue stregazze atroci e ironiche, che “every one shall share i’ the gain”; Desdemona in “Othello”, come sempre dissennata e inopportuna, ricorda al Moro già paranoide di suo, che proprio Cassio “shared dangerous with you”... due esempi su mille.

Cambiamo genere.

Se il capitalista ontologicamente furbastro ama spartirsi (to share) solo la parte (share) buona della torta, tanto da far dire già ad Adam Smith che “in this share consists his profit”, nei romanzi prevale per lo più una condivisione sentimentale, essendo “la roba”, come si sa, a parte in Balzac e in Maupassant (e anche lì...), verghianamente noiosa... così ci si paciocca insieme (sharing) preferibilmente a proposito di “affection” (J. Austen, “Sense and Sensibility), “thoughts” (G. Eliot, “Middlemach), “cares and troubles” (C. Dickens, Pickwick papers)...

  

In “The secret sharer”, Conrad usa il nome intraducibile quattro volte.

Giustificherebbero la scelta di “inquilino” i due punti in cui il capitano parla di Legatt come del “sharer of my cabin”.

Negli altri due casi la faccenda però si complica, dato che si parla del “secret sharer of my life”!... O, come nell’ultima occorrenza, del “secret sharer of my cabin and of my thoughts”!... 

E’ evidente che un traduttore, avesse anche il dolce labbro di Calliope, deve supplire con una costellazione di nomi alla mancanza di un termine equivalente.

Ogni nome della Lingua del Sì traduce insomma appena una share di Sharer... per cui, a proposito del titolo, per decidersi occorrerebbe una “golden share” che però non c’è... intanto, per il conradiano incorreggibile, oro (gold) e partecipazione (share) si scindono in frecce (“The arrow of gold” ) e compagni (secret sharer).

f.c.

P.S.:

(Che sia tutto colpa di un’assonanza irresistibile? All’inizio, Conrad pensava intitolare il racconto “The other self”. Per amore d’eufonia scivolò subito in “The secret self”; ma poiché esplicitare è impoverire, quel “self” anticipava sempre troppo e dunque troppo poco...  “sharer” salvava l’assonanza, ma nella sua esattezza generica, lasciava aperte più porte e più libero chi legge...).

P.P.S.: 

...ritradurre il tradotto: è una specie di dòmino che Arbasino ha raccontato in “Altri romanzi” (vecchio Einaudi che chissà se e quando Adelphi ripubblicherà): se si ritraduce in English quell’”ospite” che traduce “sharer”,  arriviamo non a “sharer” ma a “guest”… - errore perfetto: “a remarkable guest” fu definito proprio Conrad, fra ammirazione ed esorcismo, da Virginia Wolf, nel suo necrologio per il “TLS”…

 

 

 

To share, Sharer, Sharing: Una lettera

 

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