Mentre Ernst Lubitsch e Charlie Chaplin erano tra i re di Hollywood, Peter Lorre era uno dei caratteristi più apprezzati e Curt Bois recitava per lo più in piccole parti, nei cinema del Terzo Reich veniva proiettato Der ewige Jude (Franz Hippler 1940), un documentario di montaggio fortemente voluto da Goebbels, in cui venivano presentati spezzoni - girati durante le prime settimane dell’occupazione della Polonia - delle parti più miserevoli del Ghetto di Varsavia, poveri ebrei stralunati e dalla fitta barba nera, cartine animate in cui si mostra la “razza” ebraica espandersi in tutta l’Europa e da lì in tutto il modo, masse di ratti angosciosamente proliferanti che a un certo punto occupano tutto lo schermo; infine il climax di un discorso di Adolf HitlerHitler per galvanizzare «la foresta che cammina» di giovani “ariani” perfettamente antitetici ai cupi ebrei polacchi: stereotipi d’una bellezza sorridente, glabra, bionda, tutta presa dall’esaltata anonimia della schiera di soldati pronti a ogni sacrificio e ogni crudeltà.
«Fra paria e parvenu» intitola un capitolo del suo celebre Le origini del totalitarismo Hannah Arednt (HANNAH ARENDT, Le origini del totalitarismo). L’ebreo come paria e parvenu è la tesi che Der ewige Jude svolge implacabilmente: dopo gli ebrei miserabili del Ghetto, nel film seguono le immagini di “giudei” famosi, affinché rappresentino icasticamente tutti i vizi loro propri: l’edonismo, il nichilismo, la sessuomania, il legame coi movimenti socialisti e anarchici, l’avidità, il gusto iconoclasta delle avanguardie artistiche che pretendono di sostituire il bello classico dell’antica Grecia, di Bach e di Botticelli con le figure negroidi e deformi d’una versione caricaturale dell’espressionismo. Tra gli altri, apparivano: i Rothschild, Albert Einstein, Max Reinhardt, Ernst Lubitsch, Fritz Kortner, Charlie Chaplin (che non era ebreo), e due attori impegnati sul set di Casablanca: Peter Lorre e Curt Bois. Quanto agli attori, il principio applicato era elementare: presentare la parte che l’attore interpretava, estrapolandone una sequenza da film che nel Reich erano stati censurati, come se questa manifestasse ciò che egli era in realtà. Nel caso di Bois, erano state montate sequenze del film Der Fürst von Pappenheim (Richard Eichberg, 1927), nel quale recitava vestito da donna.
Sull’immagine dell’ebreo nel cinema tedesco negli anni del nazismo, vedi OMER BARTOW, The “Jew” in cinema: from The Golem to Don’t touch my Holocaust, Indiana University Press, Bloomington 2005. Vedi anche GEORGE L. MOSSE, L’emancipazione ebraica fra Bildung e rispettabilità, in La Bildung ebraico-tedesca del Novecento, a cura di ANNA KAISER, Bompiani, Milano 2006, dove il celebre studioso fa notare come l’ebreo in nessuna arte è rappresentato come sportivo, giovane e virile, ma senile, debole, senza famiglia, effeminato, promiscuo, ecc.
(da: Francesco Carbone, Da Hitler a Casablanca (via Hollywood). Cineasti ebrei in fuga dal nazismo, Edizioni EUT, Trieste 2011)