Casablanca è un film costruito come un imbuto, lungo il quale scendiamo a spirale: all’inizio c’è la Terra che gira su se stessa, e una solenne voce fuoricampo che ci racconta la storia di tutti: «With the coming of the Second World War, many eyes in imprisoned Europe…». Poi vediamo la carta dell’Africa, sulla quale appaiono i titoli di testa, quindi si plana a Casablanca, tra la folla dei «refugees» (rifugiati). Le scene che seguono servono a far sentire allo spettatore l’atmosfera caotica e cosmopolita della città: il via vai di europei, arabi e poliziotti tra strade e caffè ai cui tavolini ingannare la lunga attesa per ottenere un documento che permetta di partire per l’America: «the New World…». Mentre la voce racconta, si passa in un continuum senza interruzioni dalle immagini documentarie sull’invasione della Francia (montate da Don Siegel con la tecnica delle montage sequences) alla fiction del traffico caotico di uomini in questa città rifugio: ed è “molto Warner Bros” enfatizzare l’autenticità della narrazione facendo emergere, come una zoomata che trova alla fine il suo dettaglio, la fiction dal collage di immagini documentarie della guerra in corso. La città di Casablanca appare come un limbo costipato, dove gli esuli si affollano in attesa di una chance di uscita in realtà quasi impossibile: è una coralità infera in cui s’intrecciano paura, speranza, cinismo, rassegnazione. Vittime e profittatori appaiono indissolubili: esuli ancora aureolati d’innocenza e ignoranza si muovono tra borseggiatori, millantatori e speculatori di ogni genere. Pochi secondi riassumono i punti estremi della decadenza psicologia e morale a cui pressoché tutti gli esuli sono destinati, passando dagli sguardi speranzosi sull’aeroplano che sorvola la città (che sta portando in città la Gestapo) alla disperazione abulica di chi, seduto a un tavolino del bar di Rick, non ha la forza di credere più a nulla: «Waiting, waiting, waiting. I’ll never get out of here. I’ll die in Casablanca…».
(da: Francesco Carbone, Da Hitler a Casablanca (via Hollywood). Cineasti ebrei in fuga dal nazismo, Edizioni EUT, Trieste 2011)