Per Jack Warner, «l’unico movie mogul a farsi chiamare executive in charge of production», la priorità era che lo Studio lavorasse a pieno regime e che non vi fossero risorse inutilizzate, secondo un principio di assoluta «efficienza economica, per usare un eufemismo e non parlare di taccagneria». Era famoso il suo giro tra i set del lunedì: se ne trovava uno inutilizzato, commissionava subito una sceneggiatura ad hoc per impegnarlo. Predisposto il cast e decisa a grandi linee la storia, il copione poteva essere completato via via che procedevano le riprese. Il che fu proprio quanto accadde, nel 1942, con Casablanca, produzione comunque di sostanzioso impegno finanziario (oltre un milione di dollari) gestita da Hal B. Wallis, il quale avrebbe voluto per la regia William Wyler, il trionfatore degli Oscar in quello stesso anno con il patriottico La signora Miniver (Mrs. Miniver). Ma non fu possibile avere Wyler e, per fortuna, neppure George Raft per la parte di Rick.
Il meglio di Curtiz coincise con il suo periodo sotto la Warner, che si concluse nel 1954. Ebbe altri successi, ma non fu più lo stesso.
Nel tempo di Yankee Doodle Dandy e Casablanca, l’intera famiglia della sorella di Curtiz finì ad Auschwitz e in quel lager il marito di lei trovò la morte. Michael Curtiz fu tra i cineasti che contribuirono all’European Film Fund perché potesse emigrare in America il numero più alto possibile di artisti ebrei.
(da: Francesco Carbone, Da Hitler a Casablanca (via Hollywood). Cineasti ebrei in fuga dal nazismo, Edizioni EUT, Trieste 2011)