Quando nel 1945 Billy Wilder, in Germania per l’Office of War Information dell’esercito americano, impose agli abitanti di una città tedesca di assistere alla proiezione del documentario Todesmuhlen (La fabbrica della morte)sul lager di Berger Belsen, tutti uscirono dopo pochi minuti. La rimozione che la Germania operò nei confronti del suo passato fu sistematica e coinvolse anche il cinema: «spinti unicamente dal desiderio di non suscitare scandalo, i distributori tedeschi tennero nascosto fino ad oggi (1977) un capitolo intero della storia del cinema tedesco-americano. Alcuni film, come Notorius di Alfred Hitchcock e Casablanca di Michael Curtiz, giunsero nelle nostre sale di proiezione negli anni ’50 con nuovi tagli e doppiaggi falsi: agenti nazisti divennero spacciatori di droga; scene importanti come il toccante duello fra la «Marseillaise» e la «Sentinella sul Reno» in Casablanca, furono semplicemente eliminate» (HANS C. BLUMEMBERG, Sette classici americani antinazisti in Vienna-Berlino-Hollywood. Il cinema della grande emigrazione). Rubando una battuta a Spencer Tracy, giudice a Norimberga nel film di Kramer, la Germania vuol credere che il nazismo coi suoi crimini sia stato opera degli «Esquimesi»… Del resto, come si sa, e come proprio Vincitori e vinti ebbe il coraggio di raccontare, la rimozione parve molto presto necessaria agli stessi Alleati per coinvolgere al più presto la Germania occidentale nella guerra fredda: «la quasi totale assenza di turbe davvero profonde nella vita psichica della nazione induce a concludere che la nuova società della Repubblica federale tedesca ha consegnato le esperienze compiute agli albori della sua storia a un meccanismo di rimozione perfettamente funzionante; meccanismo che se da un lato la mette in grado di riconoscere nei fatti di aver avuto origine dall’assoluta degradazione morale, dall’altro la porta però a espungere del tutto tale evento dal suo bilancio emotivo, quando non le permette addirittura di interpretare come un’altra pagina gloriosa del suo libro mastro tutto ciò che è riuscita a superare con successo e senza dar segno della minima debolezza interiore»; così, nel cuore delle coscienze prese campo «l’indubbio ethos del lavoro appreso nella società totalitaria» e «l’eroismo con il quale, senza tante domande, la gente si mise subito all’opera per riorganizzare e sgomberare» (WINFRID GEORG SEBALD, Storia naturale della distruzione).
(da: Francesco Carbone, Da Hitler a Casablanca (via Hollywood). Cineasti ebrei in fuga dal nazismo, Edizioni EUT, Trieste 2011)