Il Los Angeles Times del 28 aprile 1939 racconta allarmato che «dozzine di attori, la maggior parte dei quali nati in Germania, hanno fatto un gran baccano per ottenere un ruolo nel film» che sta per produrre la Warner Bros Confessions od a Nazi Spy. Sarà il primo film che attaccherà direttamente la Germania nazista. Ancora più di sempre, per qualunque attore emigrato parteciparvi comportava dei rischi per i parenti che erano rimasti in Europa: Hedwiga Reicher (1884-1971), tedesca che interpreta la moglie del capo delle spie naziste, nei titoli è accreditata col nome di Mildred Embs. Soprattutto, «undici attori con ruoli minori hanno chiesto un pesante make-up e hanno preferito non avere il nome nei titoli del film ma, anche senza i loro nomi, o titoli di coda di Confessions recano l’impronta della mobilitazione dei fuoriusciti. (…) Il film, infatti, combina cinema narrativo con tecniche documentarie in una mescolanza instabile, dove la narrazione è interrotta da spezzoni di documentario mentre gli attori (non introdotti da alcun titolo di testa) danno una prestazione corale («un lavoro di gruppo» commenta “Variety”) guidata dalle performances molto misurate di Robinson e Lederer» (SAVERIO GIOVACCHINI, Immigrazione tedesca e antifascismo nella comunità di Hollywood degli anni trenta, in Il cinema americano). Per il mercato estero, il film non trovò una distribuzione neppure in Inghilterra. In America il film, che per la prima volta nominava Adolf Hitler (cfr. BERNARD F. DICK, The star-spangled screen: the American World War II film), fu accusato dagli isolazionisti di seminare odio. Un cinema di Cleveland che lo proiettava fu devastato da attivisti dell’estrema destra. Il protagonista Edward G. Robinson fu tempestato da lettere e telefonate oltraggiose e minatorie (PATRICIA ERENS, The Jew in American Cinema). In particolare il senatore Gerard P. Nye, repubblicano anti-interventista, e capo della commissione che negli anni ’30 indagò sulle “cause” dell’intervento americano nella prima guerra mondiale, accusò Hollywood di dare spazio a cineasti europei emigrati i quali avevano portato con sé «odi e pregiudizi a loro innati ma totalmente estranei all’America» (Cit. in ANGELICA ISOLA, Hollywood va alla guerra). Gli anti-interventisti ottennero quanto volevano: nessuna Major produsse più un film antinazista fino all’entrata in guerra degli Stati Uniti.
(da: Francesco Carbone, Da Hitler a Casablanca (via Hollywood). Cineasti ebrei in fuga dal nazismo, Edizioni EUT, Trieste 2011)