«Torneremo a portare l’alabarda», dice sconsolato Felix Bressart in Vogliamo vivere (To be or not to be, 1942), e cioè – anche se capaci di ben altro - faremo le comparse nell’Amleto. Il capolavoro di Ernst Lubitsch può ben essere letto come una metafora appena velata di quanto accadeva agli attori ebrei rifugiati in America negli anni immediatamente precedenti alla guerra: quasi sempre per sopravvivere non restava che ridursi a particine di minimo conto; intanto i grandi studios, con rare eccezioni, censuravano ogni riferimento anche appena critico alla Germania nazista per non rischiare di perdere quel mercato e per non provocare l’antipatia dei filonazisti e degli antisemiti americani. Si comportarono proprio come il governo polacco di Vogliamo vivere, che censura la commedia Gestapo per non peggiorare le relazioni con i tedeschi in realtà già pronti all’invasione.
Che almeno qui quegli ultimi “alabardieri” siano raccontati come i primi, perché ogni passato «reca con sé un indice segreto che lo rinvia alla redenzione» (WALTER BENJAMIN, Tesi sulla storia).
(da: Francesco Carbone, I vecchi maestri, introduzione a Da Hitler a Casablanca (via Hollywood). Cineasti ebrei in fuga dal nazismo, Edizioni EUT, Trieste 2011)