"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 13 settembre 2007

 


 

n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

 

 

 

48. Claudio innocente!

 

 

(Il cinema come chiave ermeneutica)

 

 

 


 

 

 

Nel «famigerato articolo di Greg» (H. Jenkins, curatore dell’edizione Arden di Hamlet, Routledge 1982) si sostiene addirittura che, quando il Re sospende la messinscena dell’Assassinio di Gonzago non lo fa perché si riconosca colpevole, ma per altri turbamenti. Del resto perché dovrebbe, nella rappresentazione dell’omicidio di uno zio da parte del nipote, specchiarsi nell’assassino?

 

«L’unica ipotesi plausibile per spiegare il comportamento del Re è questa: egli nella pantomima non riesce a scorgere la rappresentazione del proprio crimine (…). E’ questa la sola conclusione razionale: Claudio non ha assassinato il fratello versandogli il veleno nell’orecchio. In sede critica, non è possibile fare deduzioni che abbino un maggior grado di certezza» (W. W. Greg, Hamlet’s Hallucination, 1917).

 

Più che un critico pare l’avvocato di Claudio. Ma ha torto? – Ha scritto più recentemente Cavell: «Mi colpisce comunque il fatto che nessuno, per quanto ne so, abbia risposto a Greg in maniera soddisfacente» (S. Cavell, Il ripudio del sapere. Lo scetticismo nelle tragedie di Shakespeare, Torino 2004). Cavell entra allora nel varco e insiste: «Ma perché bisogna a tutti i costi pensare che lo Spettro abbia detto la verità? (Sottolineo che, sospettando dello Spettro, né Greg né io vogliamo negare che Claudio abbia davvero ucciso suo fratello Amleto, come poi confessa nella scena della preghiera. Il punto è come ha ucciso. E questo il distinguo su cui si baserà tutta la mia argomentazione)» (Ibid.).

 

 

Il punto è come ha ucciso?... C’è del demente in Amletlandia, e questo, si sa, dalle origini.

 Intendiamo questa morbosa attenzione alla trama, che distingue da sempre un po’ tutti – Hegel, Goethe, Eliot… - davvero una legione di uomini geniali che credono però (come vorrebbe Amleto?) alla superstizione dei fatti. Molti elementi invece farebbero pensare che in Amleto già si covino le ambiguità irrisolvibili di Rashomon (Kurosawa, 1950), dove un fantasma – anche lì! – non solo non fa emergere la verità, ma intorbida ancora di più le acque. Ora, che Amleto sia il testo più a lungo coltivato di Shakespeare è per Auden la prova d’una sua debolezza intrinseca e non emendabile… giusto il contrario di quanto sostiene il, per il resto spesso noiosetto e sentenzioso, H. Bloom (Shakespeare, Milano 2003). La trama si sarebbe complicata perché l’autore avrebbe aggiunto disastri a disastri nell’illusione che si sarebbero corretti a vicenda: da qui una trama alla fine insostenibile ma anche misteriosamente perfetta: come accadde al film Casablanca (il paragone di Umberto Eco).

 

 

Potrebbe, sul problema della trama, aiutarci ancora il cinema e pensare che Shakespeare in Amleto non è un scrittore à la Hitchcock – mago di thrillers in cui comunque tutto alla fine ‘torna’, ma alla Howard Hawks del Grande sonno, capolavoro che il regista per primo diceva di non saper raccontare: intrigo noir in cui il caos delle trame non trova pace mai, e dove il ritmo e le atmosfere, le luci e gli sguardi, i toni e i vestiti, i fumi di sigarette e i fasci di luce delle auto nella brumosa città della notte, aprono a noi la più perfetta finestra sperabile per accedere al mondo senza Dio di Philip Marlowe.

 

Impossibile a questo punto non notare che sia Marlowe che Amleto sono dei sarcastici parlatori, che amano il monologo e, nel caso del cinema, la voce fuori campo.

(Il che sarebbe perfino un’idea per una regia: un Amleto in cui i monologhi siano più o meno tutti di una voce off: intanto l’azione va avanti, anche se magari per pantomime, come nell’Omicidio di Gonzago che sta al centro del terzo fatidico atto).


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