ORAZIO -
...uccisioni dovute al caso....
(Atto V, sc. 2)
«The coincidence of meeting, discussion, danc, row, old salt, of the
here today and gone tomorrow type, night loafers, the whole galaxy of
events, all went to make up a miniature cameo of the world we live
in...»
(J. Joyce,
Ulysses)
Quello che Carl Schmitt
chiama la «realtà storica effettuale», quell’«esterno ben presente»
(C. Schmitt, Amleto o Ecuba, Bologna 1983) che plasma o
stravolge il nebuloso centro psicologico di un uomo, in Amleto
è una pochade da fratelli Marx al college: bicchieri e fioretti
sbagliati per cui muore uno invece dell’altro, e così a catena. Una
slapstick comedy, da immaginarsi velocissima e inesorabile:
come la sequenza in cui, in una strada, Stallio e Ollio e comprimari
si tirano giù i pantaloni a vicenda, fino a coinvolgere tutti i
possibili passanti. E non può che essere così, ma forse non solo nel
senso che «in questi drammi l’esito finale è la cosa che meno
interessa» (G. Melchiori,
Shakespeare, Laterza, 2005), ma perché sarebbe una
mistificazione far finire Amleto - specchio offerto
alla natura - con un finale emblematico, catartico, altamente
simbolico e minacciosamente pedagogico: il contrario de il resto è
silenzio!
Nell’impossibilità di una morte
inappuntabile e in posa, si potrà leggere perfino uno dei dati epocali
del Moderno che nasce: «E’ evidente che in ragione di una produzione
intensa, ogni morte individuale non è eseguita altrettanto bene, ma
ciò ha poca importanza. E’ il numero che conta. Chi dà ancora valore a
una morte ben eseguita? Nessuno. Anche i ricchi, che potrebbero
offrirsi questo lusso, hanno cessato di preoccuparsene, il desiderio
di avere una morte propria si fa sempre più raro. Fra poco diventerà
così rara quanto una vita personale.»
(R. M. RILKE, I quaderni di
Malte Laurids Brigge)
Harold Bloom
però nel Quinto Atto ci vede addirittura un’assoluzione:
«Nell’atto V il protagonista non è
divertente né melanconico: essere pronti, cioè disponibili, è tutto.
In tal modo, disarmando la critica morale, Shakespeare assolve Amleto
dalla strage finale. Le morti di Gertrude, Laerte, Claudio e Amleto
sono tutte causate dai «trucchi» di Claudio, a differenza di quelle di
Polonio, Ofelia, Rosencrantz e Guildenstern. Quelle prime morti
possono essere attribuite alla teatralità omicida di Amleto, alla sua
singolare combinazione dei ruoli di attore comico e vendicatore.
Nemmeno Claudio viene tuttavia ucciso in un gesto di vendetta, ma solo
come l’entropia finale dei trucchi escogitati» (H. Bloom,
Shakespeare, Milano 2003).
Se il finale è azione, dovrà
far apparire tutto esatto e allo stesso tempo sbagliato: «tutto conta
in arte tranne il tema. (…) Il colore di un fiore può suggerire la
trama di una tragedia; un brano musicale può ispirare la sestina di un
sonetto; ma quello che davvero succede non offre nessuna ispirazione
all’artista.» (O. Wilde, “Amleto” al Lyceum, in
Autobiografia di un dandy, Milano 1996)