AMLETO - Io la
pugnalerò con le parole, ma non con la mano…
(Amleto, III,
2)
RE - Le mie parole volan su, i miei pensieri restano al basso; parole
senza pensieri mai non giungono a Dio.
(Amleto, Atto III, sc. 3)
DUCHESSA DI YORK - Perché la sventura deve essere così piena di
parole?
(Riccardo III, Atto IV, sc. 4)
Se, come dice l’adagio
dell’architetto, «less is more» (van der Rohe), lo zero sarà il
massimo del più? «le parole sono diventate così false che mi ripugna
usarle per ragionare» (La dodicesima notte, Atto III, sc. 1);
«Come ogni sciocco è abile a far giuochi di parole! Io credo che la
miglior grazia dello spirito sarà d’ora innanzi il silenzio, e che
l’arte del parlare non sarà da lodarsi che nei pappagalli soltanto»
(Il mercante di Venezia, Atto III, sc. 5); magari, restando
nel Mercante e tra gli uccelli, si troverà
un’idea di più agevole buon senso: un acuto senso della misura che
riduca il profluvio entropico di chiacchiere a poche frasi essenziali
aiuterà a farle ascoltare: «se un usignolo cantasse di giorno, quando
ogni oca strilla» (Ibid., Atto V, sc. 1) sarebbe un
rumore aggiunto agli altri. Così parla la saggia Porzia, che però non
può immaginare Cordelia dal silenzio d’oro ma dal padre sordo.
Però vale
sempre una certezza di Montaigne: «io non sono affatto obbligato a non
dire sciocchezze» (M. de Montaigne,
Saggi,
vol. II, Milano 1986).
Figurarsi noi. Se si blatera non rispondendo a senso, si potrà almeno
rispettare le rime
(Pene
d’amor perdute,
Atto I, sc. 1).
Torniamo seri: cosa si può fare
davvero con le parole che non sia un dire per niente?
Nella filosofia recente è il
problema degli speech acts, gli atti linguistici (J. L.
Austin, How to do things wiuth words?, Harvard 1975): in
Shakespeare tanti si arrovellano sull’ambigua faccenda, antica in
realtà quanto il linguaggio. Amleto agogna a parole-pugnali con cui
sfregiare il cuore della madre, e vi riesce («Queste parole come
pugnali mi entrano nelle orecchie. Basta, dolce Amleto», Atto III,
sc. 4): ma una madre è un bersaglio fin troppo facile per il suo
unico figlio.
Anche se Amleto non è il solo («Le
sue parole sono pugnali, e ognuna tocca», Molto rumore per nulla,
Atto II, sc. 1), non sarà un caso, dunque, che questa efficienza
sia rara, mentre ben più consueto è il vano vociare delle cicale. La
natura inguaribilmente puttanesca delle parole (W. H. Auden),
echi di echi pronti a darsi al primo che passa, le rende
inaffidabilissime: «dare i nomi è facile, i padrini sono tanti» (Pene
d’amor perdute, Atto I, sc. 1). Sarà difficile trovare una
frase pare che non sia una cospirazione di menzogne, pronta a
rigirarsi appena gira il vento della convenienza. Lo dice un Buffone,
e quindi fidiamoci: «una frase è solamente un guanto di capretto per
un bello spirito; come si fa presto a mettere il rovescio dal dritto!»
(La dodicesima notte, Atto IV, sc. 1).
Ben più facile che la morbida
rovesciabile parola inganni piuttosto che infilzi, ma – appunto –
anche l’inganno di «parole melliflue» (Riccardo III, Atto IV,
sc. 1) è reversibile: può essere annichilito da un altro inganno
più potente come dai fatti che prima o poi potrebbero smagare la malìa.
Solo di Dio è la parola che può tutto, mentre tra gli uomini non si
ottiene pace solo «con belle parole ingannatrici» (Enrico VI,
Atto I, sc. 1). Magari per un po’ anche sì. Dipende – si potrà
obiettare – quanto ingannatrici sapranno essere: «non sono le parole
che mi fanno paura», dice il fortissimo Otello, e come si sa sbaglia
(Otello, Atto IV, sc. 1).