(Ovvero: perché, se è notte, non è una tragedia)
«Il nesso tra l’accadere drammatico e la notte, e in particolare la
mezzanotte, ha una sua buona ragione. E’ opinione diffusa che a
quest’ora il tempo sia in equilibrio come lago di una bilancia. Ora,
poiché il destino, il vero ordine dell’eterno ritorno, può essere
definito temporale solo in senso improprio, parassitario, le sue
manifestazioni cercano piuttosto lo spazio-tempo. A mezzanotte esse
trovano come una fessura del tempo, nella cui cornice compare ogni volta
sempre la stessa immagine spettrale. L’abisso che separa la tragedia e
il dramma barocco si illumina in tutta la sua profondità laddove
l’eccellente osservazione dell’abate Le Bossu, autore di un
Traité sur la poésie épique citato da Jean Paul, venga
letta in senso strettamente terminologico. Essa dice che “nessuna
tragedia può essere ambientata di notte”. Al tempo diurno, richiesto da
ogni azione tragica, si contrappone l’ora degli spiriti propria del
dramma. “Ecco: è l’ora della notte più stregata, quando si spalancano
sui sagrati le fauci dei sepolcri e l’inferno esala i suoi miasmi in
questo mondo” (Amleto, atto III, sc. 2). Il mondo degli
spiriti è senza storia. Ed è lì che il dramma fa scivolare le sue
vittime. (…). A ragione è stato osservato che il dramma inglese
pre-shakespeariano non ha “una vera fine, la sua corrente continua a
scorrere” (Ehrenberg, Tragödie und Kreuz). Ciò vale per il
dramma barocco in generale; la sua conclusione non stabilisce alcuna
epochè, come accadeva invece, in senso storico e individuale, con la
morte dell’eroe tragico.
(…)
Mentre l’eroe tragico nella sua “immortalità” non salva la vita ma
soltanto il nome, i personaggi del dramma barocco perdono con la morte
la loro individualità nominale ma non la forza del ruolo, che rivive
intatta nel mondo degli spiriti. “A qualcuno può venire in mente di
scrivere dopo Amleto un Fortebraccio;
nessuno può impedirmi di far incontrare di nuovo tutti i personaggi
all’inferno o in paradiso, di lasciare che di nuovo regolino i loro
conti” (A. Ludwig, Fortsetzungen. Eine Studie zur Psychologie der
Literatur, 1914). All’autore di questa osservazione è sfuggito
che ciò dipende dalla legge del dramma, e non dall’opera citata e meno
che mai dal suo soggetto. Di fronte a quei grandi drammi che, come
Amleto, continuano ad attirare la critica, l’insulso concetto
di tragedia con cui quest’ultima li giudica avrebbe dovuto apparire
logoro già da tempo.»
(W. Benjamin, Premessa gnoseologica a Il dramma barocco
tedesco, Torino 1999)