«Il principe
Amleto ne ha tanto così che gli pesa sul cuore, molto di più che non
entri in soli cinque atti.»
(Jules Laforgue, Amleto, ovvero Le conseguenze della pietà filiale)
«Hamlet è forse il
dramma di Shakespeare che più ha sofferto per una corretta lettura del
suo impianto strutturale, dell’imposizione, operata da Nicholas
Rowe nel 1709, di una divisione forzata in atti e scene, in
conformità di una malintesa normativa classicista. Si è arrivati al
punto di far terminare il terzo atto e iniziare il quarto
nel corso di una scena (quella nella stanza della regina Gertrude) che
in effetti continua, tanto che la regina stessa non lascia il
palcoscenico dopo l’uscita di Amleto con il cadavere di Polonio da lui
ucciso, e infatti subito dopo Claudio la raggiunge nello stesso luogo,
ed anche almeno le due brevi scene successive (ora IV ii e
iii), che si svolgono senza soluzione di continuità, fanno
chiaramente parte ancora del terzo atto. L’arbitraria divisione del
Rowe è dovuta a una preoccupazione realistica: gli sembrava che
fra l’uscita di Amleto e l’ingresso di Claudio dovessero trascorrere
non pochi secondi ma un più lungo lasso di tempo. L’equivoco è dovuto
all’incomprensione delle funzioni temporali nel teatro elisabettiano,
ossia del costante processo di riduzione e compressione dei tempi
‘reali’ nella durata scenica, processo di cui Hamlet
stesso dà ampia testimonianza fin dalla prima scena: ci viene
annunciato che essa ha inizio a «mezzanotte appena suonata» (riga
7) e, sebbene l’azione non subisca alcuna interruzione, pochi
minuti dopo Orazio avverte (righe 166-67) che «il mattino, nel
suo manto rossiccio, sfiora la rugiada su quel monte ad oriente»,
ossia è già l’alba.»
(G. Melchiori,
Shakespeare, Roma-Bari, 2005)
«Gli in-quarto presentano un
testo continuo, l’infolio divide fino a II, ii, e la
divisione tradizionale qui adottata è opera di normalizzazione
neoclassica di Nicholas Rowe (1709). Sul testo stabilito da
Jenkins vediamo che le sue 3835 righe sono state divise in
blocchi per formare i cinque atti, rispettivamente 864, 721,
897, 651, 702, mentre il numero delle scene in
ogni atto è rispettivamente 5, 2, 4, 7,
2. La cesura meno abile è quella tra III, iv e IV, i,
che spezza in due una scena. Una scena di lunghezza abnorme (601
righe) è la II, ii, e avrebbe potuto essere divisa. In realtà.
Come tutti i testi teatrali elisabettiani, l’Amleto è un
continuum di episodi scanditi dalle indicazioni enter-exit,
un’accumulazione non diversa per natura da quella più netta,
architettonica, essenziale, scandita dai movimenti del coro, della
tragedia greca. La strutturazione in “inizio, mezzo, fine” della
Poetica è assai discutibile e astratta. Nell’Amleto
uno schema aperto di episodi (mi sembrano inadeguati, finora, i
tentativi di scansione semiotica) è organizzato dalla fabula, dallo
stile, dalla visione.»
(N. D’Agostino, nota a W.
Shakespeare, Amleto, Garzanti 2004)