Azzardiamo una traduzione in
alessandrini variamente rimati di un sonetto che da sempre richiama l’Essere
o non essere che tutti, come i “classici” secondo il
Dizionario dei luoghi comuni di Flaubert, credono di
conoscere:
Stanco di tutto questo, morte
quieta imploro,
se vedo il pregio onesto nato
senza decoro,
e felice e agghindata l’insulsa
nullità,
E la fede più pura subire slealtà,
E l’onore dorato agli infami
spacciato,
E la pura virtù trascinata a
puttana,
e ciò ch’è fatto bene subire la
buriana,
E la forza svilita da una storpia
potenza,
E l’arte resa muta da chi tiene
licenza
E la dotta follia mettere sotto il
genio,
E l’evidenza immota spacciata per
idiota,
E il bene incarcerato dal male suo
capestro.
Stanco di tutto questo, vorrei da
questo andare
Se, morto, non dovessi il mio
amore lasciare.[1]
«Sonetto che si presenta nella forma
inconsueta di un lungo catalogo di mali e di ingiustizie sociali, da
cui il poeta vorrebbe fuggir via (…). Indubbia la somiglianza con la
grande lamentela esistenziale che si incontra nel celebre «essere o
non essere» di Amleto, III. i. 56-90. va detto, infine, che
questo sonetto apre un gruppo di componimenti, che si estende fino al
sonetto 70, in cui l’attenzione è volta, da varie angolature,
al problema del male sociale come scompenso istitutivo della
stessa cultura umana, in cui le apparenze la vincono sulle essenze,
gli artifici sulle doti naturali, il trucco sulla bellezza, e la
falsità sulla sincerità. E’, questo, un grande tema, non solo di
Shakespeare, ma di tutta l’epoca inquieta, profondamente turbata dalla
perdita di una visione unificante e simbolica, e quindi dalla messa in
questione di ogni corrispondenza fra il “dentro” e il “fuori”, fra il
mondo e la trascendenza, e quindi fra la verità e la mistificazione,
fra il valore e l’inganno, e in definitiva fra l’essere e il
sembrare.»
(A. Serpieri, nota in W.
Shakespeare, Sonetti, Milano1995)
Tired with all these, for restful death I cry,
As to behold desert a beggar born,
And needy nothing trimm'd in jollity,
And purest faith unhappily forsworn,
And gilded honour shamefully misplac'd,
And maiden virtue rudely strumpeted,
And right perfection wrongfully disgrac'd,
And strength by limping sway disabled
And art made tongue-tied by authority,
And folly, doctor-like, controlling skill,
And simple truth miscall'd simplicity,
And captive good attending captain ill:
Tir'd with all these, from these would I be gone,
Save that, to die, I leave my love alone.
Fiornando Gabbrielli propone una traduzione ben diversa:
Stanco di
tutto io grido: meglio morto,
Che vedere
chi merita umiliato,
E uno zero
assoluto lindo e pinto,
E la più pura
fede spergiurata,
E turpe
mercimonio d’alti onori,
E vergine
virtù prostituita,
E onestà
ingiustamente screditata,
E valore che
un capo storpio mutila [1],
E genio
imbavagliato dal potere,
E follia che
a saggezza tasta il polso [2],
E sincerità
presa per scempiaggine,
E Bene servo
a capitano Male.
Stanco di
tutto, a tutto darei addio,
Se non
lasciassi solo l’amor mio.
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