«Non diversamente da altri scrittori,
anche Shakespeare basava le sue storie e le relative problematiche su
fonti a cui dava nuova forma. Sappiamo molto della sua vita e, sebbene
non esistano prove documentali al riguardo, è ormai innegabile che la
sua vasta conoscenza di autori, miti e usanze dell’antichità si può
spiegare solo presumendo che avesse frequentato una scuola secondaria a
indirizzo umanistico (grammar school). Non v’è alcun dubbio che
avesse seguito un corso normale di composizione in versi e in prosa e
fosse in grado di leggere Terenzio, Cesare, Ovidio
e in parte anche Virgilio nella lingua originale. Quando dovette
raccogliere materiale per un’opera teatrale, Shakespeare utilizzò due
fonti principali in inglese, le Chronicles of England, Scotlande
and Irelande di Holinshed e la versione inglese di
North (da quella francese di Amyot) delle Vite
parallele dei greci e dei romani di Plutarco. Sappiamo
che utilizzò anche la traduzione di Omero di Chapman,
quella di Plinio di Holland e quella di Montaigne
di Florio. Per le Metamorfosi di Ovidio, un
testo diffuso nelle scuole, che egli aveva studiato in latino, si servì
di solito della versione inglese di Arthur Golding. Ma in alcuni
punti risalì all’originale traducendolo in modo più preciso. E’
ampiamente dimostrato che Shakespeare aveva «letto opere latine delle
quali non esisteva alcuna traduzione: due commedie di Plauto […]
qualche passo di Tito Livio» (Muir, 1961), e se una storia
lo interessava, conosceva abbastanza il francese e l’italiano da poter
fare riferimento a fonti in lingua originale. L’ampia estensione delle
sue letture è oggi documentata dalla splendida raccolta di Geoffrey
Bullough Narrative and Dramatic Sources of Shakespeare (8 voll.,
London and Boston 1957-75), che riproduce fonti certe e probabili,
con un esauriente apparato critico.»
(B. Vickers, Ripensare
Shakespeare, Milano 2001)