RE : (a
parte) Ah, com'è vero! Che sferzata queste parole per la mia
coscienza. La faccia della puttana sotto i suoi impiastri rispetto ai
colori che l'abbelliscono non è più orrida delle mie azioni rispetto
alle mie parole false . Oh quanto mi pesa!
(Atto III; sc.
1)
«Non siamo
realmente noi se non quando, mettendoci di fronte a noi stessi, non
coincidiamo con niente, nemmeno con la nostra singolarità.»
(E. M. Cioran,
La caduta nel tempo, Milano 1995)
«Guardare dentro se stessi in
maniera sana, senza distruggersi; inoltrarsi nella profondità
inesplorata senza costruzioni illusorie e fantasticherie, ma in atto
di pura contemplazione è una dote rara. Goethe.» (F. Nietzsche,
Frammenti postumi. Vol. III: Estate 1872 – Autunno 1873,
Milano 2004). Chissà. Nel romanzo che mette al centro
Amleto, Wilhelm Meister finirà col guardare alla sua
passione per il franto figlio di Danimarca come a un peccato di
gioventù, mentre il suo IO sarà sentito come sano e integro al di là
addirittura del tempo: «il corpo si consumerà come un abito, ma io,
l’io che ben conosco, io sono» (W. Goethe, Wilhelm Meister. Gli
anni dell’apprendistato, Milano 2006). E anche nei momenti di
massimo simpatetico invasamento per il principe, Wilhelm-Goethe aveva
sempre creduto che anche Amleto avesse avuto un’anima:
non la faticosa, rancorosa, “moderna” diplomazia al vertice di
un «pensare» che a sue spese impara a riconoscersi «soltanto» come
discontinuo instabile « reciproco rapportarsi degli istinti» (F.
Nietzsche, La genealogia della morale).
«L’“io” può essere concepito solo
nel senso di un indicatore formale e neutro di qualcosa che, nella sua
connessione d’essere fenomenica concreta, può rivelarsi come
l’“opposto” di ciò che sembrava» (M. Heidegger, Essere e tempo,
Torino 1955); più clinicamente: «l’Io è strutturato
esattamente come un sintomo. Non è altro che un sintomo privilegiato
all’interno del soggetto. E’ il sintomo umano per eccellenza, la
malattia mentale dell’uomo» (J. Lacan, Il Seminario. L’Io nella
teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Torino 2006).
Quindi «l’”io” va odiato» (B.
Pascal, Pensieri): «Se portassi con me sempre il raschino,
mi cancellerei tutto» (M. de Montaigne, Saggi, vol. I,
Milano 1986).
«L’assioma teologico-politico di
Gregorio di Nazianzo; “L’Uno è in guerra civile con se stesso” (to
hen stasiatson pros heuton) definisce il canone dell’io
letterario, ed è noto che la dommatica trinitaria non è che un’ardita
speculazione sull’atto di parola: il parlante, il verbo, il soffio
della voce.»
(G. AGAMBEN, Introduzione a G.
Manganelli, Contributo critico allo studio delle dottrine politiche
del ‘600 italiano, Macerata 1999)
Già qualcosa di tutto questo
perfino nello Shakespeare più barbaro: «…ma so che tu sei devoto e hai
in te una certa cosa che si chiama coscienza, con venti buffonerie
papiste e cerimonie che ti ho veduto osservare zelante…» (Tito
Andronico, Atto V, sc. 1); e uno dei due sicari che nel
Riccardo III ha qualche scrupolo prima di uccidere Clarence
(«Alcuni rimasugli di coscienza / mi son rimasti dentro…»
Riccardo III, Atto I, sc. 4).