"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 

 


n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

8. Il principe picchiatello

 


 

AMLETO - forse d’ora in poi crederò conveniente affettare un umore fantastico.

(Atto I, sc. 5)

 

 

Come tutte le storie, si potrebbe anche raccontarla come una favola: c’era una volta nella lontana Danimarca una corte, dove a un certo punto il giovane principe Amleto, bellissimo e geniale e a cui tutti vaticinavano un futuro di gran re, impazzì: una cosa, almeno in apparenza, accaduta tutta d’un botto. Chiese la regina, mamma vedova del principe da poco risposata, al re, e il re chiese al ministro: sarà perché gli è morto all’improvviso il padre? o perché ci siamo or ora sposati? o perché è stato ferito il suo amore per la giovane dama diletta? e, se no, per cos’altro mai? E infine, per dirla proprio tutta: è pazzo per davvero o fa solo il dispettoso? – Con tutto quello che c’è da fare in un regno, bisogna essere spicci e sbrigativi: cosa fare, insomma, per saperlo e rinsavirlo?

Ora, la cosa strana di questa corte danese è che tutti ma proprio tutti – Re, Regina, ministri, confidenti e fidanzata - danno per certo che il principe pazzo sappia come nessun altro la ragione della sua pazzia, che proprio questo sia il suo segreto! Ancora peggio: invece di chiamare un bravo dottore dei pazzi, di quelli che sanno dire parole furbe e inapparenti e spiare i segni dell’infinito inconsulto dell’uomo, la piccola corte della piccola Danimarca crede anche che solo riuscendo a indurre il principe a confessare per filo e per segno la sua follia sarà possibile guarirlo. Detta così, sembra quasi la corte del dottor Freud, ma è tutto più caotico e più buffo.

 

 

Fatto sta che il principe pazzo non vuole confidare niente a nessuno. Anzi no, parla ogni tanto con un amico, Orazio, che pare la sua ombra, il solito succube laconico con cui si accompagnano questi adolescenti estrosi e narcisi: probabilmente non deve apparire a nessuno neppure intelligente abbastanza per sostenere una qualche conversazione, e infatti, mentre tutti si affannano a inventare strane trappole per carpire al principe il segreto della sua benedetta follia, nessuno al suo amico chiede mai niente.

Ferocemente ritroso alla pubblica autodiagnosi, Amleto ogni tanto pare addirittura che si diverta. Sempre più scaltro ad evitare i trabocchetti che i vari frequentatori della reggia gli tendono per indurlo a parlare su che tipo di pazzia lo faccia esser pazzo, pare giochi a indovina merlo e a nascondino con i suoi investigatori. Nessuno infatti cava il ragno dal buco, e fino alla fine il principe pazzo resta l’ enigma eminente della Danimarca: da farne un’attrazione, se fosse esistito a quel tempo il turismo.

 

Ma un pazzo che sapesse dire per filo e per segno per cosa è pazzo, è poi pazzo davvero? Un pazzo ritroso, un pazzo furbo, un pazzo dialettico, sofistico… un pazzo psichiatra, come l’Hannibal del Silenzio degli Innocenti? La breve corte di Danimarca pare non concepire pazzie diverse da questa. E quindi, quando Amleto dice a Rosencrantz e Guildenstern che ha perso tutta la sua allegria ma non sa il perché (Atto II, sc. 2), mentirebbe sapendo di mentire, perché in Danimarca i pazzi sono tali solo se sanno  molto bene per cosa sono pazzi. Dunque Amleto che dice perché non so non è pazzo. Mentre fuori della Danimarca proprio quel perché non so potrebbe apparire molto vicino a una sincera confessione di autentica pazzia.


 torna a  

 

     torna su