A
– Cerchi di capirmi… Suo padre era… mi scuserà, detestabile.
B
– D’accordo.
A
– E detestabile era il mio.
B
– Curiosa coincidenza.
A
– Entrambi morti, entrambi detestabili, entrambi detestati, entrambi
padri.
(G. Manganelli, Il funerale del padre, in Tragedie da
leggere, Torino 2005)
«Chi è Ofelia? Nella musica
dell’Amleto Ofelia è una tonalità essenziale, un timbro femminile che
vibra non già secondo la mozartiana lievità delle commedie, ma
piuttosto nel registro tremulo dell’ansia, della paura, della
sventura. E tuttavia mai cede ai toni gravi. Ofelia segue e asseconda
inquieta con concitati recitativi i metafisici assoli di Amleto,
finché pazza si assenta con canti lirici dalla corte inospitale e
prende la via dell’acqua, il più femminile degli elementi, in cui
s’adagia obbediente e annega. Si salva così dal “marcio di Danimarca”,
che sta corrompendo ogni anima» (N. Fusini, Donne fatali,
Roma 2005), a cominciare da quella, più ardua ed esposta, del
Principe. - Non ci son che doveri, per i figli rimasti in Danimarca.
Laerte infatti se la scampa a Parigi, e Fortebraccio che troneggerà
sulle rovine, vedi caso, non è danese. Varrebbe allora almeno per
Amleto e Ofelia: «Se io non sono per me, chi sarà per me? E se io sono
per me, chi sono io? E se non ora, quando?» (Pirké Avoth, 1,
mishnah 14).
Né ora né mai, perché è proprio
«vero che il mondo è colmo di sventure che si abbattono su
innocenti» (K. Jaspers, Sul tragico, Milano 2000):
qualunque cosa sia, codesto mondo, è una rete ordita dai padri. Prima
Trappola per Topi:
«Non riuscivano a capire che mi ci volevano dei nuovi genitori, una
nuova vita» (voce di Joan in R. D. Laing, L’io diviso,
Torino 1969).
Laforgue
capisce tutto e smonta la tragedia facendo dire al suo Amleto un ovvio
e sano «Io me la filo» (J. Laforgue, Amleto, ovvero Le
conseguenze della pietà filiale).
Anche senza schizofrenia, infatti,
la Trappola per Topi pare essere un problema di tutti:
«l’estraniazione che chiude all’Esserci la sua autenticità e la sua
possibilità – fosse pur quella di un genuino fallimento – non lo
condanna però ad essere un ente che egli stesso non è, ma lo sospinge
nella sua inautenticità, cioè in una possibilità di essere che gli è
propria. Il movimento dell’estraniazione deiettiva, tentante e
tranquillizzante porta l’Esserci a imprigionarsi in se stesso» (M.
Heidegger, Essere e tempo, Torino 1955).
Data la difficoltà estrema, a questo
punto che, per quanto magari giovanile, appare già assai compromesso,
come al signore di Altan, vengono idee che non condividiamo:
«Farci esentare dalla vita perché essa non è il nostro elemento?
Nessuno rilascia certificati di inesistenza» (E. M. Cioran,
Sommario di decomposizione). Però si potrebbe:
«No, non volevo la libertà,
solo una via di scampo; a destra,
a sinistra, non importava, non avendo nessun’altra richiesta; che la
via di scampo risultasse pure un inganno; la richiesta era piccola,
l’inganno non sarebbe stato maggiore. Andare avanti, andare avanti!
Soltanto non fermarsi con le braccia levate, schiacciati contro la
parete d’una cassa.»
(F. Kafka,
Relazione per un’accademia)