«In filosofia, è qualcosa
che a mio avviso trova espressione nell’argomento cartesiano del
Cogito, che Emerson ha perfettamente compreso e
magistralmente sviluppato: per esistere, l’essere umano ha l’onere di
provare che esiste. E per liberarsi di quest’onere, deve pensare
la propria esistenza. Cartesio (benché la questione sia controversa)
deve trovare dunque il modo di affermare “Io sono, io esisto”, e non
di affermarlo una sola volta, ma in ogni momento, per preservare la
propria esistenza, per originarla. Esistere significa assumere la
propria esistenza, metterla in scena, come se l’esistenza umana fosse
basata sul teatro, se non sul melodramma. Mentre rifiutare l’onere
della prova significa condannarsi allo scetticismo, al diniego
dell’esistenza – il che vuol dire anche del valore – del mondo.
Lo spiccato senso del teatro
di Amleto è dovuto a mio avviso al fatto che egli vede nel teatro, o
nello spettacolo, un tratto metafisico e ineluttabile dell’esistenza
umana.»
(S. Cavell, Il
ripudio del sapere. Lo scetticismo nelle tragedie di Shakespeare,
Torino 2004)