«Hamlet per molti
aspetti, più che un dramma, rappresenta il commento a un dramma da
scrivere; più che una tragedia, una sorta di enciclopedia dell’umore
barocco. Ma un commento e un’enciclopedia, comunque, essenzializzati.
Shakespeare, infatti, tollerò di lasciar andare sotto l’etichetta di
Hamlet solo le ideali pagine migliori di quel taccuino
che dovette registrare la sua crisi: tutte le altre pagine, per il
momento, lasciò che riposassero, in attesa di tempi maturi, così che
fosse anche possibile mettere un po’ d’ordine nel seguito angosciato
di quei pensieri delusi.
Ma i tempi, invece di maturare,
parvero vieppiù corrompersi: alla crisi di quell’immagine incrinata e
compromessa dell’uomo rinascimentale, non si vide prossimo alcun
rimedio, e Shakespeare si decise a riprendere fra mano quel taccuino
così amaro e tentò di cavarne qualche altro accordo.
(…)
E’ singolare scoprire, a questo
stadio, che subito dopo Hamlet, Shakespeare si diede a
rielaborare, seppur con mano maestra, la farsa parecchio volgaruccia
delle Merry Wives of Windsor.»
(G. Baldini, Manualetto
shakespeariano, Torino 1967)