"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 

 


n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

26.  Sex and the pity

 


Regina – Che cosa devo fare io?

Amleto – Tutto il contrario di quello che vi dico io. Lasciate che il re lardone vi trascini nel suo letto e vi pizzichi…

(Atto III, sc. 4)

 

 

«E io che credevo di conoscere la Donna! La Donna e la Libertà! E la insudiciavo di sciocchezze a priori! Pedantuzzo! Pedicure!»

(J. Laforgue, Amleto, ovvero Le conseguenze della pietà filiale)

 

  

Mentre il fantasma del babbo usa signorili dolenti metafore morali («O Amleto, che caduta fu quella!» O Hamlet, what falling off was there!, Atto I, sc. 5), il figlio va giù pesante, e pornolalico nulla lascia implicito della fantasia sua proiettata sull’«insopportabile» godimento della madre (N. Fusini, Donne fatali, Roma 2005). Fissato alle «lenzuola incestuose» (Atto I, sc. 2) come l’ago della bussola al suo Nord, Amleto trova l’apice nella concitatissima closet scene (III Atto, sc. 4), nella quale neppure l’atroce comica morte di Polonio ferma il fiato al figlio disperatissimo: «Già, ma vivere / Nel fetido sudore di un letto bisunto, / inguazzata nella depravazione, tutta mielosa, / a far l’amore nel lurido porcile!»: queste sarebbero le «parole come pugnali» (Freud si gode la metafora) da riservare a mamma Gertrude, ennesima regina meretrix, almeno nelle fantasie buone per dar pappa all’odio famelico del problematico ragazzo.

 

Amleto, infatti, già dopo il primo incontro con l’ambiguo Fantasma (quale non l’è?), scatena il suo cosmico schifo per la sessuocentricità del Tutto. Se quello, «l’accoppiamento» insomma, come scrisse proprio Montaigne che tanti esperti riconosco a dar trama in Shakespeare soprattutto ai pensieri di Amleto, «è un centro a cui tutte le cose tendono» (M. de Montaigne, Saggi, vol. III, Milano 1986), meglio allora che cosmo e Danimarca restino «out of joint» (Atto I, sc.5) , se joint dovesse scoprirsi il fallo di qualcuno.

 

 

 

Del tutto vano, dunque, il senechiano Montaigne che forse però non subì una madre così serenamente «genitale» (Lacan, Seminario VI) e dunque avulsa dalle luttuose paturnie filiali: «Nella maggior parte del mondo quella parte del nostro corpo era deificata» (M. de Montaigne, Saggi, vol. III, Milano 1986), ed è un peccato aver perso l’usanza.

Se Amleto ha letto codeste serene parole, avrà strappato le pagine. Nessuna saggezza della carne, in Amleto, e così forse perfino prima del Fantasma: il Biron di Pene d’amor perdute può dire, molto shakespeariano in questo!, che «siamo altrettanto onesti quando possono esserlo la carne ed il sangue» (Atto III; sc. 3), mentre Amleto, appena lasciato, come esordio del celeberrimo suo monologare, sceglie proprio la carne da maledire masochisticamente («Oh! Questa troppo troppo solida carne…», Atto I, sc.2).

 

Chiaro che così il ragazzo prende subito ad andare un po’ troppo contro il mondo: molto più che don Chisciotte addosso ai mulini a vento. «Lussuria, lussuria; sempre guerra e lussuria: non c’è nient’altro che rimanga di moda» (Troilo e Cressida, Atto V, sc.2). E se almeno la guerra piace ad Amleto almeno quanto poteva piacere a un Fabrizio del Dongo prima di vedere Waterloo, e almeno tanto da invidiarla a Fortebraccio che fa strame d’un bordo di Polonia, la passera resta il vortice in cui gli sarà impossibile abbandonarsi. - Ah!, non solo lui ascoltasse la voce umida e saputa di Molly: «Oh quanto chiasso se fosse tutto qui il male che facciamo in questa valle di lacrime…» (J. Joyce, Ulisse).

 


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