«Che l’esistenza
umana debba essere una specie di smarrimento…»
(A.
Schopenhauer, Parerga e paralipomena)
Nascono domande complicate: non
solo in cosa consista l’amore del padre Amleto per il figlio Amleto,
ma anche cosa sia davvero l’amore di Amleto figlio per Amleto papà.
Se infatti, proprio a metà
tragedia, si svela che questo è il problema, solo adesso si
capisce che il paterno fantasma è venuto non a chiedere l’adempimento
di una piatta procedura vendicativa prevista da sempre in ogni regal
faida (tabe morale millenaria su cui Shakespeare offre tutta
l’enciclopedia), ma per richiamare il figlio a essere! - Della
qual cosa il seguito del celebre monologo, come si sa, dà un’idea non
allettante. Dardi, frombole, torti immedicabili: un torvo Essere
il cui quadro avrebbe sottoscritto ogni gnostico. Amleto allucina il
peggiore dei mondi possibili, o quasi: quasi se si potesse
almeno dormire-morire. Mentre tutto lascia supporre che dopo la
morte ci si ritroverebbe nel fetido e fiammeggiante mondo di papà:
sussurri, grida e rimbrotti all’infinito. Come se l’attuale incubo non
fosse che l’anticamera del vero incubo senza risveglio… motivo per cui
neppure il suicidio sarà dato nell’Alcatraz universale. - Benché solo
figlio di conti sull’orlo della bancarotta, Leopardi non
avrebbe provato meno ribrezzo per codesta Trappola, né meno desiderio
di non-essere.
Ecco: con l’Essere o non essere, il
principe Amleto pare uno dei rarissimi che abbia preso sul serio la
scommessa di Pascal: non potendo escludere che dal giro di
roulette esca il rosso dell’inferno, meglio che il quasi suicida
deponga il pugnale. Da ciò un Amleto di più che vorrebbe tanto essere
uno di meno.