"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 

 


n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

24.  Tra il dire e il fare, il mare (di lacrime)

 


«L’uomo dionisiaco assomiglia ad Amleto»

(F. Nietzsche, La nascita della tragedia, 1873)

 

 

Tutto Amleto pare dire: se si pensa, non si fa; se si fa, dopo quasi sempre si piange. Amleto sa l’effetto del «meditare troppo sull’azione» (Atto IV, sc. 4), ma ogni meditare è troppo, ogni indugio nella coscienza spegnerebbe ardore ed efficienza non solo al sicario di Clarence nel Riccardo III. - Amleto dice alla madre: «Non guardarmi, perché mi susciti / Pietà e svii i miei duri propositi. E allora / Ciò che devo fare mancherà del suo colore: / lacrime, forse, anziché sangue» (Atto III, sc. 4).

 

 

«La conoscenza uccide l’azione, per agire occorre essere avvolti nell’illusione – questa è la dottrina di Amleto, non già la saggezza a buon mercato di Hans il sognatore, che non si decide ad agire per troppa riflessione, quasi per sovrabbondanza di possibilità. Non è la riflessione, certo – è la vera conoscenza, è la visione della verità raccapricciante, che prepondera su ogni motivo sospingente all’azione, tanto per Amleto quanto per l’uomo dionisiaco.»

(F. Nietzsche, La nascita della tragedia, 1873)

 

 

Né, come già al Petrarca del lancinante Secretum, bastano gli ordini dei fantasmi, che anzi intricano ancora di più i propositi («Si decide da soli, ma la decisione è popolata di fantasmi», M. Ferraris, Introduzione a Derrida, Bari 2005). – Ben più importante del capire che lo Spettro non gli abbia mentito, ciò che Amleto alla fine cerca davvero per assolvere alla missione è una buona miscela tra caso e avventatezza (e questo sì potrebbe essere moderno):

 

«La nostra avventatezza a volte ci serve bene

Quando le nostre profonde trame falliscono…»

(Atto V, sc. 2)

 

 

Vedi come spera che dietro l’arazzo il «topo» infilzato per un niente sia Claudio il libidinoso e non Polonio. - E invece no, nemmeno un aiutino dall’umorale «vantaggio dell’incostanza» (M. de Montaigne, Saggi, vol. III): solo nel deserto del libero arbitrio (casuale e pulsionale, altroché…), si ritrova a far l’asino Buridano tra essere e non essere. E fin qua almeno respira. Stretto alle corde, fugge nell’isteria. La sua rassegnazione, il suo cristianesimo, il suo fatalismo: tutte isterie.


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