«…l'appello
farsa che ha richiesto ben 15 minuti di delibere, l'esecuzione, sono
pantomime organizzate per dare una parvenza di legittimità giudiziaria
alla vendetta finale del vincitore contro il vinto, soprattutto contro
l'uomo che aveva tentato di uccidere il mio papà».
(V. Zucconi,
La strategia della vendetta, in la Repubblica, 30 dicembre
2006)
«…when it came to execute him [Saddam Hussein], it looked like
it was kind of a revenge killing.»
(G. W. Bush,
2007)
«Se oggi, in
questo momento particolare della nostra storia, siamo ancora incapaci
di leggere nell’Amleto l’opposto dell’idea di vendetta, chi mai
saprà farlo?»
(R. Girard,
Shakespeare. Il teatro dell’invidia, Milano 2002)
«E’ grazie alla lettura sacrificale
dei Vangeli che la cultura cristiana ha potuto svilupparsi. Nel
Medioevo, ad esempio, i principi del Vangelo s’accordavano,
superficialmente, con l’etica aristocratica dell’onore e della
vendetta privata. Nel Rinascimento, questo edificio cominciò a
crollare, e Shakespeare è uno dei testimoni principali di tale
avvenimento. Anche dopo la scomparsa di faide, duelli, e altri simili
costumi, la cultura cristiana non si è mai distaccata del tutto dai
valori legati alla vendetta. Sebbene cristiani di nome, gli
atteggiamenti sociali degli uomini restarono di fatto estranei
all’autentica ispirazione giudaico-cristiana.
Questa ispirazione non è mai venuta
meno, ma spesso è diventata troppo debole per opporsi vittoriosamente
ai compromessi prevalenti nelle diverse epoche storiche, e anche solo
per acquisire una piena consapevolezza di se stessa. Il suo influsso è
stato quello di una forza ambigua e senza nome, che è potuta apparire
come una sovversione strisciante di ogni valore e atteggiamento
sociale.
(…)
Nell’Amleto l’assenza
stessa di qualsivoglia perorazione contro la vendetta annuncia il
malessere del mondo moderno. (…) …abbiamo l’impressione che nessun
revenge play, per quanto critico sulla vendetta, possa far vibrare
una corda veramente profonda nella psiche dell’uomo moderno. In
realtà, la questione non è risolta una volta per tutte, e lo strano
vuoto al centro dell’Amleto diventa
un’espressione simbolica del nostro malessere moderno e occidentale,
non meno forte dei tentativi più brillanti di definire il problema –
penso evidentemente alla vendetta sotterranea di Dostoevskij o al
ressentiment di nietzsche. I nostri «sintomi» assomigliano sempre
a quella innominabile paralisi della volontà, quella ineffabile
alterazione del carattere di cui è vittima Amleto, e con lui la
maggior parte dei personaggi dell’opera. I metodi tortuosi della loro
politica, i complotti bizzarri da loro orditi, la mania di vedere
senza essere visti, un gusto marcato per il voyeurismo e lo
spionaggio, e il virus che in generale infetta l’insieme dei rapporti
umani – tutto ciò descrive molto bene quella terra di nessuno tra
vendetta e non vendetta in cui noi continuiamo a vivere.
Claudio assomiglia ad Amleto nella
sua incapacità di esercitare contro i suoi nemici una vendetta
immediata e pubblica. Il re dovrebbe reagire in modo più esplicito e
deciso all’assassinio di Polonio, che dopotutto era il suo consigliere
privato: per Claudio, il crimine era stato un affronto personale. I
motivi della sua esitazione, che si fanno sentire solo in segreto,
possono essere diversi da quelli di Amleto, ma il risultato finale è
lo stesso. Quando Laerte gli chiede perché l’assassinio rimane
impunito, Claudio risponde con un certo imbarazzo.»
(R. Girard, Shakespeare. Il
teatro dell’invidia, Milano 2002)