OFELIA (al
padre) - …come voi
mi comandaste,
respinsi le sue lettere.»
(Atto II, sc. 1)
«Nel tempo del
soliloquio [essere o non essere], il masochismo aveva avuto il
sopravvento. Sopraggiunge l’oggetto del desiderio. Amleto abbandonerà
il dilemma suicida solo assassinando Ofelia.»
(A. Green,
Amleto e ‘Amleto’, Roma 1991)
La cronica incapacità di
obbedienza, a cominciare a se stesso, di Amleto; la nefasta vocazione
all’obbedienza di Ofelia. Lei è l’antipodo forse perfetto di
Bartleby lo scrivano (H. Melville): qualunque ordine le si
rivolga, avrebbe sempre preferenza di Sì. Ma lo specchio del
piccolo mondo della corte ormai è frantumato; tra le cose dette a
mezzo dal fidanzato stravolto e gli ordini anche cinici di babbo e
fratello, non sa far sua una delle leggi auree di Murphy: «se
ricevi due ordini che si contraddicono obbedisci ad entrambi».
Così, incapace di doppi fondi e
doppi giochi (Ofelia ha l’Io?), ripetendo la diagnosi che Polonio
dedica alla follia di Amleto, possiamo dire che prima «non capisce»
(N. Fusini, Donne fatali, Roma 2005), poi impazzisce e
infine – battuta stupenda del becchino - «per legittima difesa» si
suicida (Atto V, sc. 1).
Quando Ofelia appare, nella
III scena del Primo Atto, è già chiusa tra Laerte e Polonio.
Shakespeare la tiene inchiodata lì, in un sandwich di asfissiante
attenzione, di allarmato rigore maschile. La scena è un chiasmo da tre
prediche: la prima di Laerte a Ofelia («Temetelo Amleto»), la seconda
di Polonio a Laerte su come comportarsi in Francia, la terza identica
alla prima di Polonio a Ofelia («non credete ai voti di Amleto»). La
ripetizione del discorso contro la certa lussuria di un principe sì
giovane e prestante è semplicemente necessaria, se si vuol far sentire
in cosa è chiusa la ragazza. Le due prediche per Ofelia sono uguali
persino per numero di parole. Shakespeare è un genio di infinite
finezze.