"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 

 

 


n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

19.  Polonia/Polonio

 


 

 

«Ora che cosa c’è di più stolto del combattersi così, non si sa per che ragione, col bel risultato che ciascuna delle due parti ne ricava sempre più danno che vantaggio?»

(Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, cap. XXIII)

 

AMLETO - ….solo per un guscio d'uovo! La vera grandezza non è nell'aspettare grandi cause per muoversi, ma nel trovare degno motivo di contesa in un fuscello quand'è in gioco l'onore.

(Atto IV, sc. 4)

 

 

 

L’«indigente ma positivo principe Fortebraccio» (Jules Laforgue, Amleto, ovvero Le conseguenze della pietà filiale), che però Amleto vede come «un delicato tenero principe dallo spirito gonfiato da una divina ambizione che fa le boccacce all’invisibile evento» (Atto IV, sc. 4) gli offre uno specchio di sé più imbarazzante che quello della matrigna di Biancaneve: Fortebraccio pronto a morire per

 

Tutto in un refuso, o, se si preferisce, in una paronomasia: la poco regale realtà per Amleto, che non può che bestemmiarla, si muove tra Polonio (spie, consigli fraudolenti al re, mimetismi goffi col principe, trame avendo per strumento la figlia…) e Polonia: «questa inezia», quest’«illusione e trucco della fama» (Atto IV, sc. 4) per la quale la meglio gioventù è come sempre pronta a sgozzarsi a vicenda. Tra intrigo e forza, e insomma, per il classicista Machiavelli, tra volpi e leoni: bestiario avvinghiato peggio della michelangiolesca Battaglia dei Centauri, per contendersi frammenti d’una marca deserta: «gusci d’uova». Amleto, fascinosamente e disastrosamente, non è fino in fondo né volpe né leone, anche se sa benissimo fare l’una (Rosencrantz e Guildenstern) e l’altro (Polonio). Alla fine, imbambolato dal desiderio mimetico (R. Girard, Shakespeare, il teatro dell’invidia, Milano 1998), Amleto si droga dell’imitazione fortebraccia e conclude: «Oh, d’ora in poi i miei pensieri siano di sangue, o non valgano niente» (Atto IV, sc. 4). Avrà sangue e niente.

 

Don Chisciotte approverebbe entusiasta. E questo dovrebbe naturalmente preoccuparci. Amleto che contempla i soldati che marciano verso la battaglia ci fanno capire quanto sia – facciamo gli storici per mezzo secondo – un uomo rinascimental-barocco. O un romantico abortito: un Fabrizio Del Dongo che non può partire all’avventura, bloccato com’è nella Danimarca-prigione, tenuto ai mille doveri della condizione di delfino designato: in questo almeno, non moderno (e Laerte l’aveva detto a Ofelia, e quindi a noi, credendo di parlare solo d’amore: «sta attenta, dato il suo rango, egli non ha volontà. È soggetto lui stesso alla sua nascita», Atto I, sc. 3).

Così regredisce e si fa barbaro: «Oh, da quest’ora innanzi i miei pensieri sian sanguinosi, o non valgano nulla.», Atto IV, sc. 4): è insomma molto antico quel che pensa, e caso mai moderno è che inciampi. Ovvero: è moderno Shakespeare, non Amleto.

 


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