«I
vantaggi dei Principi sono quasi vantaggi immaginari.»
(M. de Montaigne, Saggi, vol. I, Milano 1986)
«Essi vogliono con la nostra stessa leggerezza, ma possono di più.»
(M. de Montaigne, Saggi, vol. II, Milano 1986)
«Le anime degli Imperatori e dei ciabattini sono gettate nello stesso
stampo.»
(M. de Montaigne, Saggi, vol. II, Milano 1986)
Tra il ridicolo e il sublime non
c’è che un omicidio adeguato. O così, almeno, per tutti quegli
arrivisti convinti di sapere come Dio ciò che sono e ciò che vogliono.
Claudio, prima di Macbeth, dice: «
Si può essere perdonati e tenersi il
delitto? (…) Ah maledizione. Cuore nero come la morte. Anima
impaniata, più sbatti per salvarti, e più ti invischi» (Atto III;
sc. 3), e Amleto che spia equivoca, credendo che la preghieruzza
gl’abbia davvero purificato l’anima.
Claudio, questo teorico della
modica quantità di omicidî necessarî (possibilmente uno solo!), per
inaugurare grazie ad esso il meglio della propria carriera insieme a
un lungo tempo di pace universale, di amministrazione bonaria e
paterna, è un assassino non cattivo. Pratica un machiavellismo dolente
e sospiroso ed è, lui così gioviale, un uomo solo (mai una parola con
la Regina almeno per rimuginare insieme…). Se è un po’ un
Macbeth, lo è senza streghe a tormentarle e senza Lady a dargli nerbo.
Non essendo né un geometra del crimine né uno stratega dello Stato,
crea uno stato di cose di per sé catastrofico e talmente immedicabile
da poter essere presto chiamato Necessità. Claudio è un re da
interregno, un arrivista non ambizioso: vorrebbe solo ciò che ha, più
la pace per goderselo senza affanni. Né in fondo ha torto: se non ci
fosse lo spiritato Amleto, con Claudio in Danimarca si rischierebbe la
noia, non la vita.
Non è suscettibile, tanto meno
vendicativo, non cova rancori. E’ l’Eichmann di se stesso. A un
processo avrebbe al massimo – al massimo! – le stesse giustificazioni,
del resto neppure tanto semplici da confutare, che hanno obbligato
Hannah Arendt al meglio di se stessa (H. Arendt, La
banalità del male, Milano, 1993). per un attore, un’ottima parte.
Molto presto troppi passi indietro
rispetto alla valanga di fatti da governare, il Re regicida vorrebbe
un mondo semplice, un regno-condominio da amministrare senza pathos e
senza carisma, con dignità impiegatizia, per minimi cabotaggî,
soddisfacendosi in cuor suo di aver ottenuto questo bene politico
grazie a un grado di infamia minima, senza poi mai più hybris, o
delirî, o caos. – Claudio ha la saggezza dei mediocri che si
conoscono. Inesorabilmente cadetto, non ha dèmoni a cui obbedire: non
sente la magica unzione del potere di un Riccardo II, né la fregola
del gran disegno criminale di Riccardo III. Claudio uccide il
fratello perché l’ambizione è così. Crede, in fondo, che non si tratti
che di correggere di poco il Caso: mettere sé al posto del fratello.
Dopo di che, il mondo è a posto. Se ha passioni, difetti, schifi, sono
piccolezze cecoviane. E’ uno dei pochissimi, o l’unico?, Re
shakesperiano che non dice mai “vendetta!”, e infatti non porta
rancore. Dipendesse da per lui, basterebbe che il giovane Amleto la
piantasse. Poi potrebbe tornare alla sua normale pigra benevolenza.
Altro che re, e padre: Claudio è proprio uno zio.