"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 

 


n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

11.  Il Re

 


 

«I vantaggi dei Principi sono quasi vantaggi immaginari.»

(M. de Montaigne, Saggi, vol. I, Milano 1986)

 

«Essi vogliono con la nostra stessa leggerezza, ma possono di più.»

(M. de Montaigne, Saggi, vol. II, Milano 1986)

 

«Le anime degli Imperatori e dei ciabattini sono gettate nello stesso stampo.»

(M. de Montaigne, Saggi, vol. II, Milano 1986)

 

 

 Tra il ridicolo e il sublime non c’è che un omicidio adeguato. O così, almeno, per tutti quegli arrivisti convinti di sapere come Dio ciò che sono e ciò che vogliono. Claudio, prima di Macbeth, dice: « Si può essere perdonati e tenersi il delitto? (…) Ah maledizione. Cuore nero come la morte. Anima impaniata, più sbatti per salvarti, e più ti invischi» (Atto III; sc. 3), e Amleto che spia equivoca, credendo che la preghieruzza gl’abbia davvero purificato l’anima.

 

Claudio, questo teorico della modica quantità di omicidî necessarî (possibilmente uno solo!), per inaugurare grazie ad esso il meglio della propria carriera insieme a un lungo tempo di pace universale, di amministrazione bonaria e paterna, è un assassino non cattivo. Pratica un machiavellismo dolente e sospiroso ed è, lui così gioviale, un uomo solo (mai una parola con la Regina almeno per rimuginare insieme…). Se è un po’ un Macbeth, lo è senza streghe a tormentarle e senza Lady a dargli nerbo. Non essendo né un geometra del crimine né uno stratega dello Stato, crea uno stato di cose di per sé catastrofico e talmente immedicabile da poter essere presto chiamato Necessità. Claudio è un re da interregno, un arrivista non ambizioso: vorrebbe solo ciò che ha, più la pace per goderselo senza affanni. Né in fondo ha torto: se non ci fosse lo spiritato Amleto, con Claudio in Danimarca si rischierebbe la noia, non la vita.

 

Non è suscettibile, tanto meno vendicativo, non cova rancori. E’ l’Eichmann di se stesso. A un processo avrebbe al massimo – al massimo! – le stesse giustificazioni, del resto neppure tanto semplici da confutare, che hanno obbligato Hannah Arendt al meglio di se stessa (H. Arendt, La banalità del male, Milano, 1993). per un attore, un’ottima parte.

 

 

 

Molto presto troppi passi indietro rispetto alla valanga di fatti da governare, il Re regicida vorrebbe un mondo semplice, un regno-condominio da amministrare senza pathos e senza carisma, con dignità impiegatizia, per minimi cabotaggî, soddisfacendosi in cuor suo di aver ottenuto questo bene politico grazie a un grado di infamia minima, senza poi mai più hybris, o delirî, o caos. – Claudio ha la saggezza dei mediocri che si conoscono. Inesorabilmente cadetto, non ha dèmoni a cui obbedire: non sente la magica unzione del potere di un Riccardo II, né la fregola del gran disegno criminale di Riccardo III. Claudio uccide il fratello perché l’ambizione è così. Crede, in fondo, che non si tratti che di correggere di poco il Caso: mettere sé al posto del fratello. Dopo di che, il mondo è a posto. Se ha passioni, difetti, schifi, sono piccolezze cecoviane. E’ uno dei pochissimi, o l’unico?, Re shakesperiano che non dice mai “vendetta!”, e infatti non porta rancore. Dipendesse da per lui, basterebbe che il giovane Amleto la piantasse. Poi potrebbe tornare alla sua normale pigra benevolenza. Altro che re, e padre: Claudio è proprio uno zio.

 


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