"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12  settembre 2007

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 5. Esordio di Re Ossimoro

 

 

 

 


CLAUDIO – E noi, per così dire, con sfigurata gioia, con un occhio fausto e l’altro lacrimoso, con letizia nei funerali e lamento nelle nozze, in equa bilancia pesando diletto e duolo…» (Atto I, sc. 2)

 

AMLETO - Economia, economia, Orazio. Le carni arrostite / per il funerale hanno rifornite, fredde, / le tavole matrimoniali.

(Atto I, sc. 2)

 

«Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, (…) Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare.»

(Ecclesiaste, 3, 1-4)

 

 

 

Se la sanità d’uno Stato è dimostrata dalla forza con cui si attiene alle differenze sacre ed elementari, prima la vita e la morte, il regno di  Danimarca è impazzito già all’inizio del dramma. Un funerale e un matrimonio regale si mischiano e si confondono; la nazione che dovrebbe ancora piangere già ride. L’inversione è totale e nefasta. La battuta di Amleto è terribile: matrimonio e funerali con le stesse carni… se sono calde per il funerale, il matrimonio sarà un piatto che non ha paura di servirsi freddo. Così però solo per lui. La Danimarca condivide invece l’imbarazzata festa, si fa Tivoli e scatena la crapula e i fuochi d’artificio. La nota di Amleto resta la sola a stonare, nel cupo della sua sordina, con un monologo da suicida («Oh se questa troppo troppo lurida, solida carne…»).

 

Re Claudio è il regista a modo suo grandioso di questa scommessa non solo politica ma simbolica: il suo discorso mette tutto in ordine.

«Benché il ricordo della morte del nostro caro fratello» (Atto I, sc. 2), così attacca il primo essenziale discorso di Claudio, Re usurpatore e fratricida, che dunque noi chiameremo il Re Benché (Though yet).

Con l’astuzia che non esclude affatto la franchezza (dire sempre pane al pane! E dunque morto al morto e nozze alle nozze) e dell’understatement, con qualche venale elisione e molto buonsenso, il Re fa vedere quanto fruttuosamente per tutti possano progredire le convergenze parallele del bene col male, del morto steso in cimitero e di lui sulla sua vedova… - Retoricamente, sguiscia da campione di slalom, nel perpendicolo delle ipotassi (concessive, avversative, parentesi, consecutive) da un ossimoro all’altro: «ne fa un uso smaccato» (G. Melchiori, Shakespeare, Roma-Bari 2005): «savio dolore» per il fratello, «sfigurata gioia» e «diletto e duolo» per la corona, novello sposo di una «sorella regina», e poi, soprattutto un nero figliastro, ancora troppo impaniato nella palude del lutto, da trasformare in un figlio riconciliato col futuro, che, a differenza del passato, è tutto suo.

 

 

 

La contraddizione in termini trova nel Re Benché subito uno dei due maestri del dramma. Tutto un «Though yet… Yet… Therefore… Have we as ‘twere…» (traduce Serpieri: «Sebbene… purtuttavia…. Pertanto... per così dire...»). L’altro è ovviamente Amleto, anche se la differenza è lancinante: Claudio edulcorare a forza di finezze eufuistiche lo stridore delle contraddizioni; l’eleganza della figura è la quinta che rimuove lo schifo che in realtà la sostiene. In Amleto l’ossimoro è ontologico, consustanziale al reale, immedicabile: «in bocca ad Amleto e agli altri personaggi diviene lo specchio linguistico di una situazione esistenziale» (Ibid.)

 


 

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