HAMM - Si fa quel
che si può.
CLOV - E’ un errore.
(S. Beckett,
Finale di partita)
«Quando si è
fatto qualcosa si è contenti.»
(E. M. Cioran,
Quaderni. 1957-1972, Milano 2001)
Scivolando tra oceani di latte versato,
si piange si piange si piange. Le lacrime si mischiano al latte, lo
annacquano di rimpianti, e quest’è quanto. – Dice la Regina del figlio
Amleto assassino di Polonio: «adesso piange / per ciò che ha fatto»
(Atto IV, sc. 1). Situazione, questa del pianto di Amleto, vedi caso
elusa, però detta. - Che scena madre taglia dunque l’autore, che fior di
romanza sul corpaccio sbudellato del mancato suocero rifiuta al principe
filosofo! Il che prova una volta di più che Shakespeare è un genio. «Il
difficile» di certe cose è infatti « non scriverle» (L. Tolstoj).
Resta il fatto che Amleto ha
fatto fuori Polonio.
Visto che quest’è il tema: raro
trovarne uno, di fatti, del quale
non dire “tutto qui?”. Non c’è volta che non si finisca a
imbarazzarsi per «l’incongruenza
e la sproporzione fra la tensione autoprolungata della cosa da fare e il
rilassamento autoabbreviantesi della cosa fatta» (J. Joyce, Ulisse).
- I fatti sono ben più equivoci delle parole, posto che queste ultime non
siano a loro volta altro che una certa sottostimabile sottospecie di fatti
(e il fatto che gli uni non facciano che interferire con gli altri lo
proverebbe). Vedi Romeo e Giulietta, dove giusto una serie
di accidentalissimi fatti – esterni e catastrofici, mal congegnati
e ciechi - trasforma un amore adolescente come mille in una languida
passione eterna. Questo non per qualche qualità intrinseca dei due amanti,
che non possono che dire e ridire le cose di tutti gli amanti, ma per
l’equivoca eternità donata da una molto tempistica morte nel fiore della
seminfanzia.
Abnormi e instabili, i fatti hanno il
vizio, quando gli gira, di scatenare conseguenze che dilagano ben oltre la
pozzanghera breve del loro momento. Pare che quasi non ci sia cosa al
mondo che non possa invocare l’attenuante della preterintenzionalità. Con,
nel dramma, un’eccezione: Amleto piange su Polonio ma si compiace del suo
capolavoro machiavello, la morte di Guildenstern e Rosencrantz: «Non li ho
sulla coscienza. Il loro guaio fu d'intrufolarsi. È pericoloso per le
nature basse andarsi a mettere tra gli affondi e le stoccate furiose di
avversari potenti.» (Atto V, sc. 2). Tiè.
Ma qualcosa di simile, almeno a caldo,
Amleto aveva detto proprio al corpaccione appena sbudellato del ministro
logorroico: «Prendi la tua sorte. Vedi ora che darsi / troppo da fare è
pericoloso» (Atto III, sc. 4). E qui ancora una volta Shakespeare
gli dona una battuta ironica, dato che ben presto quella stessa gnomica
varrà per tutti, quindi anche per lui).