"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 13  settembre 2007

 


 

n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

 

 47. Sul latte versato

 

 

 

 


 

HAMM - Si fa quel che si può.

CLOV - E’ un errore.

(S. Beckett, Finale di partita)

 

«Quando si è fatto qualcosa si è contenti.»

(E. M. Cioran, Quaderni. 1957-1972, Milano 2001)

 

 

 

Scivolando tra oceani di latte versato, si piange si piange si piange. Le lacrime si mischiano al latte, lo annacquano di rimpianti, e quest’è quanto. – Dice la Regina del figlio Amleto assassino di Polonio: «adesso piange / per ciò che ha fatto» (Atto IV, sc. 1). Situazione, questa del pianto di Amleto, vedi caso elusa, però detta. - Che scena madre taglia dunque l’autore, che fior di romanza sul corpaccio sbudellato del mancato suocero rifiuta al principe filosofo! Il che prova una volta di più che Shakespeare è un genio. «Il difficile» di certe cose è infatti « non scriverle» (L. Tolstoj).

 

Resta il fatto che Amleto ha fatto fuori Polonio.

Visto che quest’è il tema: raro trovarne uno, di fatti, del quale non dire “tutto qui?”. Non c’è volta che non si finisca a imbarazzarsi per «l’incongruenza e la sproporzione fra la tensione autoprolungata della cosa da fare e il rilassamento autoabbreviantesi della cosa fatta» (J. Joyce, Ulisse). - I fatti sono ben più equivoci delle parole, posto che queste ultime non siano a loro volta altro che una certa sottostimabile sottospecie di fatti (e il fatto che gli uni non facciano che interferire con gli altri lo proverebbe). Vedi Romeo e Giulietta, dove giusto una serie di accidentalissimi fatti – esterni e catastrofici, mal congegnati e ciechi - trasforma un amore adolescente come mille in una languida passione eterna. Questo non per qualche qualità intrinseca dei due amanti, che non possono che dire e ridire le cose di tutti gli amanti, ma per l’equivoca eternità donata da una molto tempistica morte nel fiore della seminfanzia.

 

 

 

Abnormi e instabili, i fatti hanno il vizio, quando gli gira, di scatenare conseguenze che dilagano ben oltre la pozzanghera breve del loro momento. Pare che quasi non ci sia cosa al mondo che non possa invocare l’attenuante della preterintenzionalità. Con, nel dramma, un’eccezione: Amleto piange su Polonio ma si compiace del suo capolavoro machiavello, la morte di Guildenstern e Rosencrantz: «Non li ho sulla coscienza. Il loro guaio fu d'intrufolarsi. È pericoloso per le nature basse andarsi a mettere tra gli affondi e le stoccate furiose di avversari potenti.» (Atto V, sc. 2). Tiè.

Ma qualcosa di simile, almeno a caldo, Amleto aveva detto proprio al corpaccione appena sbudellato del ministro logorroico: «Prendi la tua sorte. Vedi ora che darsi / troppo da fare è pericoloso» (Atto III, sc. 4). E qui ancora una volta Shakespeare gli dona una battuta ironica, dato che ben presto quella stessa gnomica varrà per tutti, quindi anche per lui). 


 

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