"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 13  settembre 2007

 


 

n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

 

 41. Soli-loquî

 

 

 

 


«Ah, se questa carne troppo troppo sordida

Si potesse sciogliere e risolvere in rugiada… (ecc.)»

(Atto I, sc. 2, vv. 129-159)

 

«Primo soliloquio di Amleto. Il soliloquio è la forma maggiore della solitudine dell’eroe. il parlar da solo è quasi l’unica forma per Amleto, per Amleto, di discorso sincero, di espressione della sua verità. Con tutti gli altri, tranne Orazio e qualche volta la madre, Amleto usa delle maschere. Per Eliot le motivazioni che qui dà Amleto – il lutto per il padre e lo sdegno per il rapido matrimonio della madre – non sono sufficienti a giustificare il suo dolore e il suo rifiuto del mondo: e ciò sarebbe il maggiore difetto estetico dell’opera. Gli psicanalisti e i critici che vedono l’iperdeterminazione drammatica non sarebbero d’accordo. Lacan in un seminario del 1969 («Desiderio e interpretazione del desiderio in Amleto» in Calibano 4, Roma 1979, che traduce da Yale French Studies 55-6, 1978) scrive: »C’è qualcosa di davvero molto strano nel modo in cui Amleto parla del padre. L’esaltazione e l’idealizzazione che egli ne compie (contrasta con) il rifiuto, la maledizione, il disprezzo di cui rende oggetto Claudio e che ha le apparenze della Verneinung, denegazione. Il torrente di insulti che gli rovescia addosso sempre si riferisce al fallo di Claudio, e Amleto rimprovera la madre per essersene riempita». Si noti che questo atteggiamento verso lo zio, per cui noon mi accontenterei della spiegazione di Lacan o degli altri psicanalisti, è precedente alla conoscenza dell’assassinio, e sembra connettersi al malessere che è già in Amleto, sia umor saturnino, Weltschmerz, tedium vitae, abulia, ennui, spleen o malattia mortale di Kierkegaard. Si direbbe che è questa sua «malinconia» (anch’esso un termine ideologico, di tipo scettico-razionalistico, che serve a rifiutare il concetto di possessione demoniaca, e che Amleto usa per sé a II, ii, 597) a cercarsi una ragione nella colpa attribuita alla madre e allo zio, e nella stessa affermazione non provata delle «marce condizioni di Danimarca». A questo si aggiunga forse il disgusto dell’idealista e del moralista, o la rabbia del diseredato (III; ii, 331, al di sotto forse del livello ironico della battuta)…»

 

 (N. D’Agostino, Nota a W. Shakespeare, Amleto, Milano 2004).

 


 

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