"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 13  settembre 2007

 


 

n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

 

 40. Sobbarcarsi

 

 

 

 


 

Virtù della necessità, superfluità della Virtù

 

CLAUDIO: …Ti preghiamo di gettare in terra

Questo inutile dolore e di pensare a noi

Come ad un padre, perché, ne prenda nota il mondo,

tu sei il più vicino erede al nostro trono…»

(Amleto, Atto I, sc. 2)

 

 

Non c’è teorema o filosofia che imbrigli il perpetuum mobile della realtà: nodo di nodi tra Babele e Diluvio, Nave dei Folli e cori da stadio urlanti Barabba! Barabba!. Non c’è apocalisse a ordinare la destra e la sinistra, e proprio di questo non c’è che farsene (verbo artistico per eccellenza!) una ragione. Claudio da subito si azzarda a nuovo discreto – e tutt’altro che disprezzabile, se non fosse un assassino – pedagogo del principe. Ancora più che con le parole, con l’habitus di un re tollerante e non più ambizioso, prova a suggerire a Amleto la giusta misura: non si pretenda di governare il caos ridistribuirne le schegge doloranti nei riquadri di qualche casellario cartesiano: piuttosto giustificandolo, il caos, lenèndone l’immedicabilità, rivelandone rimandi simmetrie e dunque bellezze invisibili agli occhi profani di chi Re non sarà mai. Il reale non è che un canovaccio osceno da offrire ai pudori edulcoranti della retorica (Amleto dirà: un canovaccio per il pensiero: Atto II, sc. 2).

 

La pedagogia del Re Ossimoro è ovviamente pelosa, ma non per questo meno vera. Anche se troppo bruscamente, Amleto si trova di fronte al fatto essenziale della vita (vedi anche il sublime frammento di Anassimandro!): Il posto del morto come sempre è stato confiscato dal vivo: Claudio offre variazioni eleganti al tema più vieto: Sic transit! - Intreccia in modo artefatto ma armonioso cose che ormai inconfutabilmente sono lì; tutto infatti si tiene già solo per il fatto di – ormai – esistere: potenza dell’inerzia delle cose accadute. Andreottiano, e non freudiano, principio di realtà: i problemi che non si risolvono da soli non li risolverà nessuno (tutta la tragedia lo dimostrerà!): Re Benché parla, e sciorina, per oculate e forse addirittura innate ipotassi (forma mentis donatagli da ciò che anche Machiavelli chiama Natura, la più invincibile), una consolante psicologia della Gestalt: tutto sta assieme, tutto torna, tutto procede. Claudio pratica la verbosità della politica come arte della messinscena, per raddolcire cuori impotenti ma forse rancorosi: Signori cari, il Re son io, cerchiamo dunque di volerci bene.

 

 

 

Sempre più fondamentale appare la seconda scena e il lungo monologo d’esordio di Claudio… che Stato sarà mai un regno che fonda se stesso sulle per quanto temperate contraddizioni dei termini (e delle cose?)? – Claudio, come tutti i politici, dà per scontato l’essenziale: come funzionerà mai, e in quali mani è garantita “L’equa bilancia” che tempera “diletto e duolo”? è chiaro che egli sott’intenda una impersonale Necessità che lo obbliga a fare le cose come le sta facendo. Vecchia maschera micidiale. La necessità del cordoglio, qualcosa che si rivolge al passato,  e la necessità dello Stato, il futuro per antonomasia, non possono che pesare ben diversamente sulla bilancia, la quale, per essere equa, non potrà essere che sghemba del tutto, inclinata inderogabilmente per il peso del piatto statuale, e dunque di Claudio… mentre Amleto, con i suoi cordogli e i suoi dubbi è uno che pretende di fermare il tempo e tener su il piatto leggerissimo inevitabilmente del cadavere di suo padre.

 

 

 

 …del resto, com’era «nostro» il fratello, dopo una ventina di parole veloci, è già «nostro» anche il reame e poco dopo «nostro Stato»… Claudio attacca con un pensar maestoso per ampie spirali, che in realtà accortamente chiudono sui punti nevralgici. Lenta cascata di ipotassi, da reone saputo e tutt’altro che improvviso, fa un discorso che subito prende il volo dall’accidente del re predecessore appena morto e, molto politicamente dunque, tiene assieme l’inconciliabile – il lutto per il fratello e il matrimonio con la cognata appena vedova – innalzandosi subito alle sfere impersonali e sacre necessità dello Stato. Un molto fine e accurato «I' mi sobbarco!» (Dante, Purgatorio, Canto VI, v. 135), insomma: un il Re è morto, viva il re! Di fantastica fattura barocca: baldacchino difficilissimo da smontare. Da lì ridiscende infine, nell’orifizio nero in cui tutto si chiude: sull’ardua faccenda del figliastro Amleto, orfano e tuttora in piena ostentazione del lutto. E quindi Though yet… Yet… Therefore… Have we as ‘twere (traduce Serpieri: «Sebbene… purtuttavia…. Pertanto... per così dire...»). Un virtuoso delle convergenze parallele, della coincidenza degli opposti, del tout se tiens nel centro della sua centripeta figura: re che terrebbe in una mano sola tutti i Ballarò e sfonderebbe tutti i Porta a porta.


 

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