Amleto - …devo chiudere la bocca.
(Atto I, sc. 2)
Quando, nella scena 3 del
primo atto, Laerte mette in guardia Ofelia dalla foia di Amleto (ed è
la prima volta che veramente parli: prima aveva solo chiesto di tornare a
Parigi), dice del principe cose ben più vere di quanto gli sia concesso
sospettare: «la sua volontà non gli appartiene: poiché egli stesso è
soggetto alla sua nascita; egli non può, come fan le persone dappoco, fare
a suo piacimento…». L’idea che la regalità sia un coacervo di sacri doveri
è ovvia e la trovi in tanti dramma shakespeariani, ma qui la battuta ha la
possibilità di una lettura ironica e tragica evidente: Laerte dice che
Amleto è «soggetto alla sua nascita» la cena prima che Amleto veda lo
Spettro paterno e, almeno a parole, incondizionatamente gli si
assoggetti.
In genere, il testo è pieno di battute
che sono ancorar più perfette fuori contesto: monadi del tutto,
preterintenzionali e profetiche. Amleto stesso è quasi un Groucho Marx
per caso. Parlando moltissimo e non sapendo quello che dice più di quanto
sia concesso a ogni pover’uomo, spesso indovina il succo. Incatenato a una
vendetta, parlando dell’intera Danimarca se ne esce con una frase sorella
della precedente di Laerte: «poiché la natura non può scegliere la propria
origine» (Atto I, sc. 4) ridicendo così la condanna non della
nazione ma sua. – Clamorosa quella in cui garantisce al fantasma paterno
che la sua vendetta scatterà «con ali rapide come la meditazione» (Atto
I, sc. 5): né più né meno di quanto accadrà.
Ofelia, che l’ha visto subito dopo le
rivelazioni dello Spettro lo descrive sfatto e allucinato: «con uno
sguardo di così pietosa espressione come s’egli fosse stato liberato
dall’inferno per parlare di orrori» (Atto II, sc. 1), similitudine
che potrebbe essere più esatta della natura purgatoriale dichiarata dallo
Spettro al figlio in ogni caso troppo credulone.
Come nella vita si finisce con l’essere
preveggenti senza mai saperlo, con profezie sparse qua e là senza mai
accorgersene, nell’Amleto tutti sanno tutto ma ciecamente: sanno
tutto almeno le loro parole, le straordinariamente iperleggibili frasi che
dicono più o meno inconsultamente.
Sulla natura della pazzia di Amleto,
Polonio dice ai due sovrani, tanto sicuro è della sua
diagnosi: «togliete questa da
questo, se la cosa sta altrimenti» (Atto II, sc. 2). Detto fatto:
la cosa sta altrimenti e Polonio muore.
La lunga battuta di Rosencrantz (la sua
più lunga), in cui giustifica tutte le eventuali azioni per la
salvaguardia del Re dal pericolo di Amleto scheggia imprevedibile e
impazzita, con un discorso assai generale sulla Maestà che quando
s’estingue «non muore sola, ma come un vortice attrae con sé tutto ciò che
le è vicino», perché «non mai da solo sospirò un re, ma con un gemito
universale» (Atto III, sc. 2), credendo di parlare a favore di
Claudio enuncia un principio che lo condanna, essendo lui l’omicida del
vecchio re Amleto, morto appena da quattro mesi. Alla luce di quanto
appena letto, appare chiaro il cupo compito dello Spettro: proprio di
tirare nel suo vortice tutto - ma proprio tutto - ciò che gli è vicino.