"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12  settembre 2007

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 30. La catatonica

 

 

 

 


 

«…E non mediti Nietzsche…

Mi piaci. Mi faresti più felice

D’un’intellettuale gemebonda…»

(C. Gozzano, Signorina Felicita)

 

 

POLONIO - Credete voi alle sue profferte, come le chiamate?

OFELIA - Io non so, mio signore, che cosa pensare.

(Amleto, Atto I, sc. 3)

 

 

Ofelia esordisce nel dramma raccontando al padre la prima scena madre che Shakespeare elide: l’apparizione di Amleto stravolto dopo l’apparizione dello Spettro. Potrebbe Amleto leggere in questa onesta delazione, un primo tradimento? Ofelia: «con il giubbetto tutto slacciato, / senza cappello in testa, le calze imbrattate / e senza giarrettiere, giù alle caviglie come ceppi, / pallido come la sua camicia, e le ginocchia / scosse l’una con l’altra…» (Atto II, sc. 1).

Dunque Amleto dopo lo Spettro va prima di tutti da Ofelia («piomba in una tale osservazione del mio volto / come se volesse disegnarlo» Atto II, sc. 2). E’ la simulazione di un addio, una muta richiesta di comprensione, addirittura di complicità? Quante carte ha in mano Ofelia in quel silenzio sospeso? O Amleto la conosce già tanto da sapere che non c’è niente da aspettarsi? (Ma quale uomo conosce una donna così tanto?). - Come tutti gli incontri mancati, lascia il vuoto di domande sterili. Il senso dipenderebbe dalla capacità della ragazza di capire l’incapibile: lo Spettro, la dovuta vendetta, la corte come un nido di vipere… – L’intero romanzo d’amore tra i due già solo in questo giro di sguardi non compresi. E infatti Ofelia dice: «E in verità io lo temo» («But truly I do fear it», Atto II, sc. 1).

 

 

 

Da lì, una catastrofe di incomprensioni. Amleto diventa pessimo, sadico, con una netta preferenza per i lazzi osceni; Ofelia è sempre più ridotta a una minima meccanica mestizia. «Ofelia è semplice, ingenua, non capisce» (N. Fusini, Donne fatali, Roma 2005); «Di lei non si può dire molto. (…) Tutto il suo essere fluttua in una dolce, piena sensualità»  (J. W. Goethe, Wilhelm Meister. Gli anni dell’apprendistato, Milano 2006). Piena? Come cambiano i tempi: più licenziosi quelli di Shakespeare.

 

Amleto dà di matto e la forse fidanzata esclama come una maestrina di provincia «O, che nobile mente è qui caduta!» (Atto III, sc. 1): «versi tra i più piatti e formali di tutta l’opera» (F. Kermode, Il linguaggio di Shakespeare, Milano 2000). Del resto, quando ci si ritrova nell’inaudito, solo frasi molto udite.

 


 

 

 

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