«…E non mediti
Nietzsche…
Mi piaci. Mi faresti
più felice
D’un’intellettuale
gemebonda…»
(C. Gozzano,
Signorina Felicita)
POLONIO - Credete voi alle sue profferte, come le chiamate?
OFELIA - Io non so, mio signore, che cosa pensare.
(Amleto,
Atto I, sc. 3)
Ofelia esordisce nel dramma raccontando al padre la prima scena madre che
Shakespeare elide: l’apparizione di Amleto stravolto dopo l’apparizione
dello Spettro. Potrebbe Amleto leggere in questa onesta delazione, un
primo tradimento? Ofelia: «con il giubbetto tutto slacciato, / senza
cappello in testa, le calze imbrattate / e senza giarrettiere, giù alle
caviglie come ceppi, / pallido come la sua camicia, e le ginocchia /
scosse l’una con l’altra…» (Atto II, sc. 1).
Dunque Amleto dopo lo Spettro va prima di tutti da Ofelia («piomba in una
tale osservazione del mio volto / come se volesse disegnarlo» Atto II,
sc. 2). E’ la simulazione di un addio, una muta richiesta di
comprensione, addirittura di complicità? Quante carte ha in mano Ofelia in
quel silenzio sospeso? O Amleto la conosce già tanto da sapere che non c’è
niente da aspettarsi? (Ma quale uomo conosce una donna così tanto?). - Come
tutti gli incontri mancati, lascia il vuoto di domande sterili. Il senso
dipenderebbe dalla capacità della ragazza di capire l’incapibile: lo
Spettro, la dovuta vendetta, la corte come un nido di vipere… – L’intero
romanzo d’amore tra i due già solo in questo giro di sguardi non compresi.
E infatti Ofelia dice: «E in verità io lo temo» («But truly I do fear it»,
Atto II, sc. 1).
Da lì, una catastrofe di incomprensioni.
Amleto diventa pessimo, sadico, con una netta preferenza per i lazzi
osceni; Ofelia è sempre più ridotta a una minima meccanica mestizia.
«Ofelia è semplice, ingenua, non
capisce» (N. Fusini, Donne fatali, Roma 2005); «Di lei non
si può dire molto. (…) Tutto il suo essere fluttua in una dolce, piena
sensualità» (J. W.
Goethe, Wilhelm Meister. Gli anni dell’apprendistato, Milano 2006).
Piena? Come cambiano i tempi: più licenziosi quelli di Shakespeare.
Amleto dà di matto e la forse fidanzata
esclama come una maestrina di provincia «O, che nobile mente è qui
caduta!» (Atto III, sc. 1): «versi tra i più piatti e formali di
tutta l’opera» (F. Kermode, Il linguaggio di Shakespeare, Milano
2000). Del resto, quando ci si ritrova nell’inaudito, solo frasi molto
udite.