«sia il giovane
Amleto che il giovane Fortebraccio non sono succeduti al trono dei loro
due padri, ma regnano in loro vece i rispettivi zii.»
(G. Melchiori, Shakespeare, Roma-Bari, 2005)
«Ma nell’Amleto non c’è sub-plot…»
(A. Lombardo, L’eroe tragico, Roma 2005)
Un altro riassunto: lo
spettro del padre di Amleto impone al figlio la vendetta sapendo che sarà
una catena che trascinerà anche lui nel disastro. Ma lo spettro del padre
è pur sempre lo spettro di un re. Attribuendogli in questo caso quel
minimo di preveggenza senza la quale nessun fantasma è degno neppure d’uno
stanzino a Canterville, non si può dunque non pensare che lo
Spettro, sapendo che il figlio morirà vendicandolo, sappia anche chi gli
succederà. Fortebraccio è figlio del Fortebraccio da lui stesso sconfitto,
e il tonico figlio vorrebbe subito vendicare assaltando la forse non del
tutto marcia Danimarca. Pretendendo Amleto padre che l’usurpatore Claudio
cada per mano di suo figlio e non del figlio del nemico, in realtà spiana
la strada a quest’ultimo. Stando ai caratteri, Amleto è davvero un
paradossale figlio del padre (……); mentre Fortebraccio, per ammissione
dello stesso principe Amleto, promette proprio le stesse doti, semplici e
tetragone, che riconosceva non a se stesso ma al padre. Il che è
certamente vero. Fortebraccio che appare sulla strage è
lo specchio
di ciò che Amleto padre fu in gioventù: del resto si tratta di un tipo di
padroni della storia che la natura procrea con una certa stereotipa
costanza (Cfr. C. G. JUNG, Tipi psicologici, ). Amleto
figlio, l’eufuista wittenbergeriano, è una parentesi. Prima e dopo, il
filum di due re uguali: Amleto padre e Fortebraccio figlio. Il che
spiegherebbe una cosa che infastidiva Auden: il fatto che a Fortebraccio
fosse dedicato un «ritratto troppo sommario»
(W. H. Auden, Lezioni su Shakespeare):
quanto basta, invece, data la ripetizione dello stereo-tipo. Morto
Amleto, dunque, lo stampino è salvo.
Questa lettura potrebbe
sentirsi addirittura tonificata anche da questa considerazione di
Schmitt: «Amleto morente indica in Fortebraccio il suo successore, e
gli conferisce il suo voto, la sua dying voice (V, 2, 354).
Tutto ciò ha una palese implicazione politica, che, prima della
salita al trono di Giacomo nel 1603 valeva, e poté essere
interpretata, come un augurio, e, dopo l’incoronazione, come un
omaggio» (C. Schmitt,
Amleto o Ecuba, Bologna 1983).