AMLETO
- Non fate mai parola di ciò che avete visto stanotte.
(Atto I, sc. 5)
«…tutti
coinvolti, come investigatori, mandanti o informatori, in una serie di
indagini e controindagini parallele…»
(G. Melchiori, Shakespeare, Roma-Bari,
2005).
AMLETO (al cadavere di Polonio) – Vedi
che succede a fare il ficcanaso?
(Atto III, sc. 4)
Doppia Danimarca: è in festa per il matrimonio di Gertrude e Claudio e
allo stesso tempo cupamente intenta ai preparativi della guerra contro la
Norvegia. E’ quasi Natale eppure appaiono fantasmi. Nessuno sa cosa potrà
accadere ma pessimi prodigi promettono disastri. A corte la pratica dello
spionaggio è talmente consueta da tenere tutti in uno stato di cronica
paranoia. Prima ancora che accada tutto, Amleto già raccomanda a se stesso
di «trattenere la lingua»
(Atto I, sc. 2);
anche le confidenze a Orazio delle sentinelle sull’apparizione dello
Spettro sono fatte in «atterrita segretezza» (dreadful secrecy,
Ibid.).
Rivelato tutto ad Amleto, l’obbligo di tenersi al segreto è ribadito come
un delirio: «Vi prego tutti, / se avete celato fin qui la vostra visione,
/ serbatela ancora nel vostro silenzio, / e qualsiasi altra cosa possa
accadere stanotte, / datele intelligenza ma non lingua»
(Ibid.).
A mezzanotte lo Spettro rivela ad Amleto cose terribili. Quali? Ancora
stravolto dalla visione, Amleto annaspa e rivela ai compagni che il succo
del discorso dello Spettro è che «non v’è un solo furfante in tutta la
Danimarca che non sia un briccone matricolato». A parte la tautologia (in
Danimarca tutti i furfanti sono bricconi), è chiaro che Orazio capisce lo
stato d’animo del principe ed è dolce quando replica: «Signore, non c’è
bisogno che un fantasma venga dalla tomba per dire questo»
(Ibid.).
Seguono però altre «parole assurde e sconnesse». Il punto è che Marcello e
Orazio hanno visto il fantasma. Amleto: «terrete il segreto?». Non c’è
assicurazione dei due che basti: «Giurate!». Marcello e Orazio se lo
vedono chiedere sei volte, tre da Amleto e tre dallo Spettro! E per
commiato ancora: «e sempre il dito sulle labbra…»
(Atto I, sc. 5).
Così finisce il primo atto.
Il secondo comincia con Polonio-Pollari
che fa spiare suo figlio da Rinaldo («scovami per prima cosa, / quali
danesi si trovano a Parigi…[…] Così, seguendo questa mia lezione e
istruzione, / tu scoprirai mio figlio», Atto II, sc. 2): qui parla
da professionista navigato e le istruzioni e i metodi sono un manuale
ancora ottimo per chi aspira a una carriera tra Vallettopoli et similia
(«lascia star le domande sulle minuzie…» Atto II, sc. 1).
E dunque, persino quel libricino aperto
di Laerte, il giovane clone del padre (vedi le raccomandazioni a Ofelia
per la sua verginità), viene spiato!… Rispetto al plot, questa scena può
sembrare un vicolo cieco: di questa inchiesta, «la meno necessaria di
tutte», (G. Melchiori, Shakespeare, Roma-Bari, 2005) in
effetti non si saprà mai nulla, ma qui si illustra la «scelta di metodo»
dello «stato di Polizia» (Ibid.), il suo indagar comunque su
tutto e su tutti... - Soprattutto Ofelia, corteggiata da Amleto, è sotto
il panottico del consigliere: «Mi si dice che molto spesso, di recente, /
ti ha dedicato il suo tempo…» (Ibid.).
Il difetto dei servizi, si
sa, è spesso di richiedere il servizio e figuri ambigui, dilettanti e
cialtroneschi. Nella scena seguente, Claudio chiede a Rosencrantz e
Guildenstern, amici del figliastro, se sanno qualcosa a proposito della «Hamlet’s
transformation» e «di spigolare, se qualcosa, se qualcosa a noi ignota /
lo affligge, cosicché, scoperta, la si possa rimediare» (Atto II, sc.
2). Amleto, che si fiderà dei due «come di serpi velenose» (Atto
III, sc. 4), appena si mette a fare il matto, è subito circondato:
Rosencrantz e Guildenstern da una parte, Polonio e Claudio e dall’altra
con Ofelia a far da esca: «Il padre di lei, ed io stesso, legittime spie,
ci collocheremo così che, vedendo non veduti, possiamo liberamente
giudicare del loro incontro…» (Atto III, sc. 1).
Nel dramma in cui i vecchi
spiano sempre più allarmati figli e figliastri per intercettare parole più
chiare, il controspionaggio di Amleto e Orazio cerca figure eloquenti.
Potremmo anche dire che Amleto ha dalla sua la ragione, «poiché onesto è
quell’inganno che confonde colui che ha tramato inganni per primo»
(Enrico VI Parte II, Atto III, sc. 1). Ma senza arrivare a risultati
meno controversi di quelli di Polonio-Pollari. Del resto nell’Elsinore
dell’Amleto non c’è uno che cavi un ragno dal buco.
Come si sa, Polonio che era
solerte e avrebbe cercato «dove la verità è nascosta, fosse pure veramente
al centro della terra” (Atto II, sc.2), sarà il martire di questo
attaccamento al servizio («io mi collocherò dietro l’arazzo per ascoltare
ciò che ne seguirà» Atto III, sc. 2). Prima di sparirci, con questa
battuta diventa un caso da ultime parole famose: »Mi zittirò qui dietro»
(Atto III, sc. 4).
Aver urlato aiuto da dietro
un arazzo non ne fa un James Bond, ma se ci fosse stato il tempo le
istituzioni avrebbero consegnato una medaglia alla memoria alla moglie
inconsolabile. E invece per epitaffio il sarcasmo di Amleto: «…Davvero
questo consigliere / è molto silenzioso ora, molto segreto…» (Atto III;
sc. 4).