AMLETO: - Ed io
canaglia fatta di pietra e di fango sto qui a perdere tempo come un
qualsiasi grullo trasognato e non penso alla mia causa, e non so dire
niente, niente…
(Atto II, sc. 2)
«Mi piace
alzarmi ogni tanto e andarci a fare un giretto per poi tornare qui
da…(esita) … me.»
(S. Beckett,
L’ultimo nastro di Krapp)
«Nell’Amleto, dove l’io e il
sé sono separati, il sé diventa incerto, e questa separazione comporta
da parte dell’io una consapevolezza del sé e una conseguente
assunzione di responsabilità. Il processo non è reversibile.» (W.
H. Auden, Lezioni su Shakespeare).
Es
o non Es: sarà questo allora
il – un altro – problema?
Per chi crede nell’istanza eroica e
morale dell’autoconoscenza certo che sì: e certo per quanto poco sia
dato scandagliare del proprio «logos» infinito (Eraclito, fr. 45
Diels-Kranz). Ma non sarà anche questa un’altra delle favole
dell’Idiota? «Il fatto è che di segreti non ce n’erano; c’erano
dei riti, e dei brividi. Il sollevarsi dei veli che cosa poteva mai
scoprire se non abissi irrilevanti? Non vi è altra iniziazione che
al nulla – e al ridicolo di essere vivi.» (E. M. Cioran,
Sommario di decomposizione): «Conoscere se stessi, per
fortuna, è impossibile» (E. M. Cioran, Quaderni.
1957-1972, Milano 2001); il che fa quasi obbligherebbe a
supporre che il comandamento dell’oracolo di Delfo sia stato «un
imperativo ironico» (G. Manganelli, Il vescovo e il
ciarlatano, Roma 2001). Ma l’ironia è il lusso del pensiero,
mentre è un fatto che ignorarsi sia il primo passo indispensabile per
diventare presidenti della repubblica («Mai sentito una frase assurda
come il Conosci te stesso di Socrate», N. Sarkozy, intervista a
Michel Onfray).
Che anche per il superpolitico,
come per Céline, la verità non sia commestibile? – C’è, forse
soprattutto nel tardo Shakespeare una voce più bonaria e risolta: «e
noi tutti abbiam ritrovai noi stessi, quando nessuno era più se
stesso» (La tempesta, Atto V, sc. 1); «la caduta gli
conferì felicità, perché allora e solo allora, ebbe piena coscienza di
se stesso» (Enrico VIII; Atto IV, sc. 2).