"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 


n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

8.  Es o non Es

 


 

AMLETO: - Ed io canaglia fatta di pietra e di fango sto qui a perdere tempo come un qualsiasi grullo trasognato e non penso alla mia causa, e non so dire niente, niente…

(Atto II, sc. 2)

 

«Mi piace alzarmi ogni tanto e andarci a fare un giretto per poi tornare qui da…(esita) … me.»

(S. Beckett, L’ultimo nastro di Krapp)

 

 

 

«Nell’Amleto, dove l’io e il sé sono separati, il sé diventa incerto, e questa separazione comporta da parte dell’io una consapevolezza del sé e una conseguente assunzione di responsabilità. Il processo non è reversibile.» (W. H. Auden, Lezioni su Shakespeare).

 

Es o non Es: sarà questo allora il – un altro – problema?

Per chi crede nell’istanza eroica e morale dell’autoconoscenza certo che sì: e certo per quanto poco sia dato scandagliare del proprio «logos» infinito (Eraclito, fr. 45 Diels-Kranz). Ma non sarà anche questa un’altra delle favole dell’Idiota? «Il fatto è che di segreti non ce n’erano; c’erano dei riti, e dei brividi. Il sollevarsi dei veli che cosa poteva mai scoprire se non abissi irrilevanti? Non vi è altra iniziazione che al nulla – e al ridicolo di essere vivi(E. M. Cioran, Sommario di decomposizione): «Conoscere se stessi, per fortuna, è impossibile» (E. M. Cioran, Quaderni. 1957-1972, Milano 2001); il che fa quasi obbligherebbe a supporre che il comandamento dell’oracolo di Delfo sia stato «un imperativo ironico» (G. Manganelli, Il vescovo e il ciarlatano, Roma 2001). Ma l’ironia è il lusso del pensiero, mentre è un fatto che ignorarsi sia il primo passo indispensabile per diventare presidenti della repubblica («Mai sentito una frase assurda come il Conosci te stesso di Socrate», N. Sarkozy, intervista a Michel Onfray).

 

Che anche per il superpolitico, come per Céline, la verità non sia commestibile? – C’è, forse soprattutto nel tardo Shakespeare una voce più bonaria e risolta: «e noi tutti abbiam ritrovai noi stessi, quando nessuno era più se stesso» (La tempesta, Atto V, sc. 1); «la caduta gli conferì felicità, perché allora e solo allora, ebbe piena coscienza di se stesso» (Enrico VIII; Atto IV, sc. 2).

 


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