«Così ci fa
vigliacchi la coscienza; così l' incarnato naturale della decisione si
scolora al cospetto del pallido pensiero.»
(Atto III, sc.
2)
«Quello
scolaretto modello, disse Stephen, avrebbe giudicato i pensamenti di
Amleto sulla vita futura della sua anima principesca un monologo
inverosimile, insignificante e antidrammatico, vacuo come quelli di
Platone.»
(J. Joyce,
Ulisse)
Tutte le cose sottoposte alla
possibilità di diventare qualcos’altro, tutte le cose che stanno
ancora nel fare e disfare del Tempo sono di per sé «incerte tra essere
e non essere» (Platone, Repubblica, 480). Essere vivi ed
essere incerti è dunque la stessa cosa. Non Amleto, ma tutto il Cosmo
oscilla tra essere e non essere.
Eppure, non si fa che
decidere, micidiale parole che nel saputissimo latino
significa tagliar via, mozzare.
Poiché si può diventare di volta in
volta una sola tra le cose possibili, il reale è una drastica
contrazione nel concreto di una sola delle varie possibilità
disponibili (sempre ammesso che questa disponibilità non sia un
miraggio): nel caso di Amleto, che scelga di essere o smettere
di essere, ciò che accadrà sarà solo la metà di quanto pensa gli si
offra nell’ambito delle possibilità. Ma l’ambiguo uomo, nato per
essere sempre due, non dimentica la metà tagliata via: sia
perché non è detto che il fantasma della possibilità tradita non torni
lei stessa a bussare alla sua porta per prendersi la sua dose di
realtà (non si smette di suicidarsi mai abbastanza), sia perché siamo
capaci di allungare alle spalle della nostra “realtà” roteanti code di
comete fatte di rimorsi, nostalgie, e perfino speranze e attese
retrograde, speranze col viso all’indietro come gli indovini di
Dante: di messianiche attese di un ritorno nel futuro di un
passato che, come se fosse una medicina che si rilascia a rate, mai
mai mai smette davvero di accadere e di rivelarsi (W. Benjamin,
Sul concetto di storia, Torino 1997).