AMLETO: ...il
colore nascente della scelta
sotto l’ombra
smorta del pensiero
si fa viola…
(Atto III, sc.
2)
«…possa guarire
il tuo cervello, ora inutile tumore entro il tuo cranio.»
(La tempesta,
Atto V, sc. 1)
«Come se noi sapessimo all’istante
che cosa significa “pensare”…» (M. Heidegger, Il nichilismo
europeo): «Il pensiero è per noi un mezzo non per “conoscere”,
ma per denotare, ordinare, rendere maneggevole per il nostro uso
l’accadere: così pensiamo oggi del pensiero: domani penseremo forse
diversamente» (F. Nietzsche, La genealogia della morale).
Intrepido come una farfalla
controvento, l’IO potrebbe compiacersi di tanta acrobatica
ilarotràgica precarietà: «E vivacchio vivacchio sono troppo numeroso
per dire SI’ e NO Mi sento troppo pazzo da sposato maciullerei la
bocca alla mia bella e caduto in ginocchio le direi queste parole
losche: è troppo è troppo… il mio cuore è troppo… centrale E tu non
sei che carne umana Non puoi non puoi trovarmi tanto ingiusto se ti
faccio del male… In verità più ci si estasia insieme e meno s’è
d’accordo In verità la vita è troppo breve» (C. Bene, Sceneggiatura
di Un Amleto di meno, collage da J. Laforgue).
Evanescenza birbona di un
narcisismo che potrebbe far contagio peggio della bubbonica, tra
accoliti e discepoli del resto non solo non richiesti ma schifati
(«Più tardi mi si accuserà d’aver fatto scuola… come sono solo! E
quest’epoca…. Non c’entra neanche un po’», C. Bene, sceneggiatura
di Un Amleto di meno), e viene in mente quel contraddetto
di Kraus che non condivide le opinioni di quelli che
condividono le sue…
Il problema amletico, si sa, è la
grossissima rottura di scatole di dover FARE, quando fare è
impossibile, se non addirittura ridicolo: qualcosa dunque di
ammissibile, perfino per il fantasmatico “tribunale della ragion
pura”, solo se non si ha la più pallida idea di dove si vada a
sbattere. Perfino Galilei si sarebbe fermato, se avesse
vagamente saputo cosa stavca combinando, e il «mare di guai» che stava
scatenando: perfino la Scienza è nata da una spensieratezza (R.
Musil, L’uomo senza qualità)! - Da questa incoscienza la
speranza: come del resto leggiamo in quasi tutto Leopardi, che
dovette invecchiare un po’ più di quanto fosse concesso ad Amleto per
arrivare ad accettare un viver floreale nell’inguaribile
lunarità dei deserti.
Ma la Ginestra è
l’eccezione assoluta, mentre la verità consueta è che sapere appena un
po’ quale destino si compia non può che ingarbugliare tutte le
voglie: «La via è un’anarchia di chiaroscuro… Nulla vi si realizza mai
completamente, nulla si svolge fino alle estreme possibilità… Tutto si
compenetra spudoratamente in una mescolanza impura, tutto è distrutto
e spezzato, nulla fiorisce fino alla vita reale… Si può descriverla
solo per negativi…» (G. Lukács, L’anima e le forme, Milano
2002).
Da ciò il già perfettamente
splenetico viola del principe monologante.
E la cappa plumbea di un chiedersi
che non si sa neppure cosa ci stia a fare in testa: se non posso
fare nulla bene, infatti, perché IO?- Ma qui si finisce a
forza in una babele tutta sbagliata: «Ed io non voglio più essere io!»
(C. Bene, Un Amleto di meno, cit. da G. Gozzano, La
signorina Felicita); «io non mi trovo dove mi cerco» (M. de
Montaigne, Saggi, vol. I, Milano1986); Lacan, con molti più
giri nel gergo suo specialissimo, dirà la stessa nuda cosa: che «Io
sono là dove non penso»… - Ma allora «a che pro disfarsi di Dio per
ricadere in se stessi? A che pro questa sostituzione di carogne?»
(E. M. Cioran, Sillogismi dell’amarezza).
«Che poi noi si sia quello che ci
manca, beh!, questo è un altro fatto…» (C. Bene, in: U. Artioli –
C. Bene, Un Dio assente, Milano 2006).