"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 13, settembre 2007 


n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

37.  Per silenzî non eloquenti

 


 

«Avevo quasi dimenticato che la verità deve saper tacere.»

(Antonio e Cleopatra, At. II, sc. 2)

 

 

«Le nostre particolari esperienze non sono per nulla ciarliere, noi siamo altresì già ben oltre le cose per cui abbiamo parole» (F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, 1888); ma è anche vero che «il silenzio ha bisogno della parola fisica dell’uomo per essere silenzio originario, da cui ogni discorso trae la sua possibilità» (G. Vattimo, Linguaggio e silenzio, in Essere, storia e linguaggio in Heidegger, Torino 1963). Per scendere sul pratico, come dire che, se di qualcuno non capisci i silenzi, non è detto che sia più semplice con le parole, ardue protesi avventurate nella sempre precaria comprensione. - Vedi il vecchio Lear che non capisce nulla: ancor più del silenzio di Cordelia, le parole bugiarde della altre due figliacce.

 

Non è il silenzio che assorda; e, se non siamo già diventati sordi, conosciamo bene questo silenzio sufficiente: «in amore il silenzio vale più di un discorso. E’ bene rimanere interdetti, c’è un’eloquenza del silenzio che penetra più di quanto non potrebbe la parola» (Pascal, Discorso sulle passioni d’amore).

 

Anche il silenzio di Shakespeare è quanto chiede di essere ascoltato. Ma cosa dovrebbe accadere sul palcoscenico dopo che Amleto è morto? Quanto tempo dovrebbe durare quel niente di parole? Per quanto tempo (posto che sia una questione di tempo) lo si potrà ascoltare? – Viene in mente Teresa di Calcutta che diceva della sua preghiera che era un ascolto di Dio – e cosa dice Dio? Niente, ascolta.

Spesso però si incontra proprio negli «eroi» di Shakespeare un pretendere addirittura il silenzio del mondo: che tutto si spenga in quell’occhio di ciclone! Narcisismo finale spesso di un certo effetto: «Labbra, fate uscire quattro parole e poi /Il linguaggio finisca…» (Timone d’Atene, Atto V, sc. 1).

 

Le tragedie esagerano e il mondo le ignora tutte. - Come nella Caduta di Icaro di Bruegel che ha fatto scrivere a Auden una delle poesie più belle (Musée des Beaux-Arts, 1939), va avanti indifferente per le sue straducole contorte. Così, se proprio si deve dire qualcosa, essere laconici è il minimo.

Ha sempre ragione il becchino: «dimmelo, e sgravati» (Amleto, Atto V, sc. 1).


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