AMLETO - …O
sorte maledetta che proprio io sia nato per rimetterlo in sesto.
(ATTO I, sc. 5)
«Secondo un paradosso che si pone e lascia andare senza più controllo,
Amleto non maledice tanto la corruzione del tempo. Egli maledice
anzitutto e piuttosto l’effetto ingiusto dello sregolamento, ovvero la
sorte che l’avrebbe destinato, proprio lui, Amleto, a riportare nei
suoi argini un tempo lussato – e a rimetterlo diritto, a rimetterlo al
diritto. Maledice la sua missione: fare giustizia di una di-missione
del tempo. Giura contro un destino che lo conduce a fare giustizia di
un errore, un errore del tempo e dei tempi, rettificando un
indirizzo: facendo della rettitudine e del diritto (to set it
right) un movimento della correzione, della riparazione,
della restituzione, della vendetta, della rivincita, del castigo.
Giura contro questo malessere, e questo malessere è senza fondo perché
non è altro che lui stesso, Amleto. Amleto è “out of joint”
perché maledice la sua propria missione, il castigo che consiste nel
dover castigare, vendicare, esercitare la giustizia e il diritto sotto
forma di rappresaglie; e quel che maledice nella sua missione è
l’espiazione della stessa espiazione; è innanzitutto il fatto che
essa gli sia innata, data tanto dalla sua nascita quanto
alla sua nascita. Dunque assegnata da ciò o chi venne prima di
lui.
Come Giobbe (3, 1), maledice il giorno che l’ha visto nascere:
“The time is out of joint: O cursed spite.
That ever I was born to set it right”
(…) Il colpo fatale, il torto tragico che sarebbe stato fatto
alla sua stessa nascita, l’ipotesi di una perversione
intollerabile nell’ordine stesso della sua destinazione, è di averlo
fatto essere, proprio lui, Amleto, e nascere, per
diritto, in vista del diritto, chiamandolo così a rimettere il
tempo sul diritto cammino, a soddisfare, a rendere giustizia e
raddrizzare la storia, il torto della storia.»
(…)
«Amleto non potrebbe acquietarsi in un “lieto fine”: comunque non
sulla scena e sulla storia. Essere out of joint, si tratti
dell’essere o del tempo presente, può far male e fare il male, è la
possibilità stessa del male. Ma senza l’apertura di questa
possibilità, non resta, forse, al di là del bene e del male, che la
necessità del peggio. Una necessità che non sarebbe (neanche) una
fatalità.»
(J. Derrida, Spettri di Marx, Milano 1994)
Derrida non percepisce di Amleto il lato donchisciottesco, piuttosto
la colpevolezza heideggeriana (cfr. M. Heidegger, Essere e tempo,
Torino 1955). Forse in questo grandioso caso non solo l’uno non
esclude l’altro, ma i due lati – che possiamo anche chiamare
commedia e tragedia – si esigono a vicenda. Ogni uomo nasce
in un mondo di cose fatte: e cosa fatta capo non ha... ora però
l’adolescente idea di rimettere tutto a posto come un prima –
prima del Male, all’inizio deve per necessità essere a sua volta
crimine: questo lo dice Amleto come ogni rivoluzionario onesto
almeno quanto lo Spettro di suo padre: Saint-Just, Garibaldi,
Trotsky, ecc.… - Ma l’idea di un mondo intero da rimettere a
posto è hybris, perdonabile giusto in un parvenu della
vita, almeno fin quando codesto parvenu rimanga innocuo e, come un
Ortis dal villoso petto, cianci ma non spari, tutto preso al suo
sonettar politico, ancora ignaro del rapporto tra agire ed entropia.